Siamo un collettivo multidisciplinare in perenne rincorsa, interessato alle intersezioni fra arte e tecnologia, le nuove possibilità dei linguaggi digitali e il modo in cui questi trasformano la società e l'ambiente in cui viviamo.
un * salta, dove * è qualsiasi cosa che possa letteralmente e ironicamente saltare, scoppiare, trasformarsi, andare oltre, perché certe cose non ci vanno bene e pensiamo di poterle cambiare.
Il nostro nome è imprevedibile e mutevole. La natura dell'asterisco ci permette di trasformarci in qualsiasi cosa e combinare ogni volta simpatici siparietti. Siamo particolarmente affezionati alle dinamiche generative perché hanno un tocco inaspettato. Ci piace pensare a strumenti che le persone possano usare, applicazioni che hanno senso in virtù di una collettività e ambienti social tecnologici. La nostra modalità è sempre stata corale.
Per scrivere abitiamo documenti online innestando uno dentro l'altro i discorsi, tornando nelle frasi degli altri e ampliandole, creando botta e risposta come in una sorta di chat trasversale non a senso unico. In questo modo nessuno ha l'ultima parola e le frasi si sedimentano in files che vengono riaperti dopo mesi e hanno tutta un'altra consistenza, così come le voci degli autori mosse e sfumate. Per questo report del Senegal abbiamo scelto di fare lo stesso: vi raccontiamo il nostro viaggio-progetto facendo salotto virtuale. Questa caratteristica genera progetti articolati e senza contorni precisi: progetti che tornano a mimetizzarsi con la realtà da cui sono emersi.
Questo gruppo è naturalmente disorganizzato, ha una soglia di attenzione molto bassa ed è super sensibile agli input che arrivano da ciò che lo circonda. Essendo il collettivo un organismo plurale, gli ambienti che ci circondano sono tanti e gli stimoli si moltiplicano di conseguenza. Noi non possiamo fare a meno di captarli tutti e assimilarli.
Facciamo principalmente cose con i computer e con le persone.
I nostri setup sono leggeri: due piccoli videoproiettori a batteria, qualche pc portatile e una saponetta per connetterci ad internet se siamo in giro. Lavoriamo sulle modalità d'uso della tecnologia, tentando di scatenare forme nuove, ripensando gli utilizzi, hackerandoli o costruendoci sopra qualcosa di differente. Niente effetti speciali o videomapping olografici per un * salta: cerchiamo di lavorare più sui circuiti mentali e tecnologici che rendono la realtà quella che è. Li esploriamo dall'interno cercando di modificarli, di stretcharli per ampliarli, trasformarli e intuire che un'alternativa allo stato presente è possibile.
Quando si è assuefatti da certe dinamiche, un * salta arriva e ti scuote fortissimo gridando AAAAAAAAA 1 o perlomeno ci piacerebbe.
Il Senegal è lontano e, per quanto ci si possa preparare in vista di un viaggio, il lontano arriva e lo prendi in faccia come non te lo aspetti proprio. è l'esatto contrario di quello che succede sempre quando pianifichi qualcosa o provi a fare degli esperimenti precoci. La realtà non è mai come te l'eri immaginata: cambia il punto di vista, da che parte è orientato il letto, le luci, il copione delle situazioni, e via così.
Il collettivo un * salta è nato con la prospettiva di questo viaggio verso il "Lontano". un * salta è come un cristallo di sale che si forma attorno all'idea dell'andare in Senegal, dove Federico Poni era stato in veste di fotoreporter assieme al Comitato Pavia Asti Senegal (CPAS), onlus attiva dagli anni '80 nella regione della Casamance. L'esperienza gli era stata sia un trauma sia un'appassionante rivelazione tale da riunire i suoi amici per tornarci al più presto. Con questa vaga ma irresistibile prospettiva, appunto, si è costituito il collettivo un * salta. Un cristallo che ha sviluppato le proprie caratteristiche cercando punti di intersezione fra le spinte dei singoli. Da minerale grezzo a pubblicazione interminabile, la distanza è riscontrabile solo nel mondo della materia, ma, del resto, le cose solide durano nel tempo.
Per quanto questa idea di Lontano fosse vaga in tutte le sue
implicazioni, avevamo in mente delle coordinate geografiche ben precise: il villaggio di
Koubanao, come
citano la segnaletica stradale e Google Maps; o Coubanao, come invece si trova spesso sul web.
Più in
particolare, il liceo della zona, dove Poni ha avuto un'epifania.
Il tema del progetto
è
stato chiaro fin da subito ➛ in che modo uno strumento globale come internet può
manifestarsi
a livello locale?
Le declinazioni formali invece abbiamo dovuto rivederle infinite volte,
sbattere la
faccia sugli errori e sui preconcetti, modificare, cancellare, riscrivere. Nonostante le
continue
riformulazioni, la direzione definitiva siamo riusciti a
delinearla solo una volta giunti sul posto ed entrati
in contatto con i ragazzi del liceo.
Ripensandoci, non avrebbe potuto essere altrimenti.
Definire la località di internet è un'operazione complessa. Trattandosi di una rete che mette in comunicazione realtà situate in posizioni diverse, forse viene naturale pensare al web come qualcosa di uniformemente esteso, omogeneo e caratterizzato da una propria stessa densità. Se pure questa intuizione poggia su un fondo di verità, è necessario integrare il principio che consente di connettere l'Italia al Senegal all'Olanda all'India con una serie di considerazioni critiche.
Qual è il rapporto tra internet e gli Stati che attraversa? Chi detta le regole? Chi punisce chi non le rispetta? In che modo la connessione arriva ai diversi Paesi? Possiamo immaginare un protocollo che metta in comunicazione culture diverse senza inciampare in forme neocoloniali? Quanto i linguaggi di programmazione sono influenzati dalla lingua inglese? Un'informatica wolof potrebbe avere un'architettura differente? Può esistere un internet djola se le uniche forme in cui si è manifestato fino ad ora sono quelle cooptate dai programmi di connessione gratuita tipo Facebook Zero? Queste contraddizioni, nodi e potenzialità hanno guidato la ricerca, la preparazione e il viaggio in Senegal, così come la stesura di questa pubblicazione.
A Koubanao abbiamo sviluppato due applicazioni:
Il nostro progetto è stato anche un viaggio ed è importante ribadirlo perché ne derivano alcune cose:
Uno dei momenti più importanti durante la permanenza è stato quando abbiamo realizzato che avevamo ragione a pensare alla possibilità di un internet differente in Senegal, un internet specifico per quel luogo. La cosa su cui eravamo scivolati all'arrivo è che forse ci aspettavamo di trovarlo già bell'e pronto e questo ci aveva lasciati per un momento in stato di shock. L'internet locale non è per forza qualcosa di spontaneo: è qualcosa che va coltivato e stimolato, qualcosa che richiede uno stretto confronto con le identità e le contraddizioni dei luoghi che abita.
Stiamo scrivendo questo report per organizzare in un discorso tutto quello che ci è capitato durante il viaggio e la sua preparazione. Questa pubblicazione è un esperimento, non abbiamo la pretesa che sia coerente e non abbiamo l'arroganza che sia esaustiva. Si tratta di un coro di voci che affrontano le cose da punti di vista diversi. è importante registrarle per riconoscere una dignità a quei particolari che altrimenti rischiano di perdersi, di diventare una decorazione di sfondo o una fase passeggera. A distanza di un anno iniziamo a capire cosa è successo in quei giorni e può far ridere o cringe rileggere certe cose scritte, ma anche se stupide noi adesso sappiamo che sono importanti.
Fateci sapere cosa ne pensate, in modo da ampliare, integrare e rivedere le traiettorie di questi ragionamenti. Se vi piace qualcosa, ottimo. Se trovate qualcosa di estremamente fuori luogo o violento cercateci e ne parliamo volentieri. è difficile per noi occidentali confrontarsi con il diverso e l'altro senza sbavature coloniali. Noi ci abbiamo provato mettendo in pratica il concetto di ospitalità e sono nate queste storie.
ciao
un * salta
Con gli amici del Comitato Pavia Asti Senegal e la mia amica Ada parto con la macchina fotografica incaricato di scattare i momenti passati assieme agli abitanti dei villaggi della Casamance. Ada è figlia di Mimmo, il segretario del gruppo, che mi ha proposto di seguirli in Africa nel novembre del 2017. Il Comitato coopera con quella regione da più di trent'anni e a tutti gli effetti si può dire che sia nata una relazione di amicizia. Una particolare informalità si è sviluppata nei villaggi di Django e Koubanao, situati nella zona più verde del paese. Così, come abbiamo fatto noi di un * salta due anni dopo, da Dakar siamo scesi verso la Casamance in traghetto. Ricordo perfettamente la notte in barca: Ada ed io andavamo in giro sul ponte, il vento oceanico ci bagnava i capelli col sale e ridevamo pensando a come un "ciao" sul bus del nostro quartiere ci avrebbe portato in Senegal 6-7 anni dopo. Mimmo, suo papà, sprizza energie da tutti i pori ed è una persona entusiasta come me.
La banda è composta anche da: Marta, classe over 80, ha girato il mondo e fu la prima che con il proto-CPAS approdò in Senegal; Damiano, ricercatore all'uniPV; Baba, falegname senegalese di cui si parlerà in un altro capitolo. Ad aspettarci a Ziguinchor c'è Angelo, consigliere del CPAS e che qui bazzica spesso.
Ci alziamo all'alba con un sole gigante che sorge in stile cinematografico, la classica palla arancione che fin quando non la vedi dal vivo non capisci la potenza della scheda grafica del mondo. Caffè in una mano e reflex con obiettivo 300mm dall'altra, la tengo in equilibrio facendo pressione sulla capoccia.
Arrivati a Ziguinchor siamo ospiti presso un hotel amico del Comitato, è abbastanza lussuoso: c'è un bel ristorantino e anche una piscina con vista sul fiume.
Lì troviamo una cricca di rapper, fun fact: uno di loro l'avevamo conosciuto sul traghetto perché ci aveva chiesto di scattargli una foto. Facciamo amicizia, rappano e il loro manager/videomaker Mamina si scopre essere di Django, il villaggio la cui scuola elementare è stata fondata dal papà di Mimmo.
Quella sera mangiamo con il proprietario dell'Hotel e sua moglie: hanno servito anche carne di coccodrillo. Io ho mangiato le mie amate cipolle.
Finito il banchetto, Ada ed io salutiamo la tavolata per fare un giro con gli Hardcore Side, ovvero i rapper incontrati nel pomeriggio.
Giriamo per la città, la notte è semivuota, c'è profumo di arachidi che vengono tostate, i regaz cantano un extrabeat e con Ada parliamo di quanto sia meraviglioso essere in un altro continente.
Torniamo in hotel, Mimmo in un impeto di allegria alimentata da circostanze e alcool mi chiama "Alessandro l'intellettuale di sinistra" tutto ok ma in realtà mi chiamo Federico.
Arrivati a Koubanao, dopo i rituali saluti dei membri più storici del
Comitato con gli amici del villaggio, partiamo per il tour delle scuole locali: due materne[f],
una
elementare e il lycée.
Il lycée è situato nella via principale; oltre all'istituto
superiore c'è la farmacia, un paio di piccoli alimentari che noi chiamavamo siop,
la moschea,
la sede del Kdes (l'associazione locale per lo sviluppo della Casamance), lo spazio
ospedaliero, la
banca, le capre, le faraone a pois,
i cani randagi tutti uguali, le
mucche
bonarie ma con
le corna aguzze, il negozio di vestiti, gli alberi con
sotto i fioi
in motorino perennemente in siesta, la fermata dei car rapides
(autobus).
Una piazza a tutti gli effetti che nelle ore diurne viene popolata dalle donne
che
vendono rinfreschi per gli studenti, un ragazzo con le angurie e giare di terracotta di
dimensioni bibliche,
i meccanici che sistemano biciclette e motorini, il muezzin che prega con i soci, tanti con lo
smartphone in
mano e la musica in condivisione ad alto volume. A pranzo, alcuni vanno nel ristorantino
associato
all'istituto professionale: pochi ristori in loco, molti ragazzini arrivano con i grandi vassoi di metallo
per
portare
take-away a casa, il fegato ottimo, il bissap. Ricordo di aver
chiesto a
Malamine Dieme, nostra guida nel villaggio,
quale
fosse
il suo piatto preferito e lui non ha capito la domanda. Questo è l'andazzo generale del villaggio.
Entriamo nel liceo, un saluto al guardiano e
cominciamo
l'ispezione di quell'architettura tanto
diversa dalla nostra italiana. La biblioteca ad esempio è un edificio tondo molto fresco
all'interno ( molti libri sono stati donati e sono
quasi tutti in
francese o inglese, nessuno in wolof o djola). Nelle aule grandi
lavagne,
finestre senza vetri, i muri esterni
affrescati.
E da uno di questi è partito tutto, il murale dell'aula di informatica: dentro computer e monitor, fuori un dipinto epifanico, appena letto è rimbombato nella mia testa, entusiasta prendo la macchina fotografica e scatto una foto.
Internet: to learn, to discover and to be closer.
The world a planetary village.
Due frasi che racchiudono molteplici significati. Scritti e letti ora, senza contestualizzazione, paiono magari un utopico <h1> fine anni '90, ma trovarlo senza preavviso in mezzo al polveroso Senegal aveva un che di emozionante.
Esistono immagini che puoi sentire e altre invece che non hanno nessun potere attivo e sono inerti o addormentate o semplicemente anonime. Come i nomi e i gesti, anche le immagini si caricano e svuotano di significati, in processi che un po' a marea vanno e vengono, interagendo con l'ambiente che abitano. Allo stesso tempo, di riflesso, certi luoghi e certe situazioni in cui l'immagine si addensa acquistano un senso nuovo.
Il murales dell'aula di informatica è stata un'immagine dura contro cui Poni ha battuto la faccia e ne è stato profondamente colpito: la sua fisicità, la sua posizione e il contesto incredibile in cui si trovava ha fatto come slittare la terra da sotto i piedi e in questo modo l'ingranaggio ha saltato un dente del suo meccanismo andando dritto a quello successivo e mettendo in moto il lavoro del collettivo.
Il murales ha generato un mulinello di eventi e sia nella sua forma reale che nelle continue moltiplicazioni digitali ha iniziato ad assorbire e trasudare il senso, i discorsi e i significati di ciò che gli stavamo costruendo attorno. Con dinamiche meticce tra il meme e il santino con l'immagine della madonna, un * salta si è affidato all'icona del laptop disegnato sul muro per avanzare un'ipotesi ⤏ che internet potesse essere diverso se utilizzato in contesti diversi dal nostro, che internet potesse avere una propria località, una propria lingua straniera, dei gesti o costumi non scaricati di default, ma installati localmente e condivisi con la comunità online.
Al ritorno di Poni dal Senegal si è però attivato anche un altro murales: un murales digitalizzato, fotografato, caricato su Facebook e scaricato nelle nostre chat. Un murales taggato e compresso, privato di tutti i suoi metadati cui ne sono stati probabilmente sovrascritti altri: i suoi contenuti sono stati tradotti e riconfigurati per la semantica web dagli algoritmi di un generico social. L'immagine digitale oltre al significato si riempie e svuota anche di informazione, spesso a nostra insaputa o senza che ci facciamo troppo caso. Un guscio di immagine che viaggia in cerchi sempre più ampi, passando dalla facciata di una scuola in Casamance all'hard disk di un data centre svedese, secondo alcune logiche disegnate confezionate ritagliate e cucite in California per poi vestire i nostri smartphone mentre scrolliamo il feed in treno (direttrice Bergamo-Milano via Carnate 😬 il loop più lungo...).
Come sotto una pioggia di informazioni sembrava comparire davanti a noi una ricostruzione a più dimensioni del murales: dall'immagine bidimensionale comparve un asse di profondità che rendeva tangibile quella tensione tra il disegno e noi, una connessione complessa che avrebbe portato ad una rete di relazioni.
Quella caricata sul web non era solo la foto di un bel viaggio e la chiusura di un capitolo, ma un segnale irrequieto e continuo ping per la creazione di nodi di un ipotetico network.
La foto del murales è diventata un'icona per accedere al Senegal:
1. ll nodo attraverso cui tutti i nostri discorsi dovevano passare per trovare una traduzione in quel Paese lontano. Un'interfaccia che dava un linguaggio comune a entrambe le voci del discorso: noi e loro, con il dipinto in mezzo: un portale attraverso cui passare per andare a Koubanao. In altre parole, l'interfaccia serve ad aiutare l'utente ad abitare una condizione virtuale, che sia un software o che sia una ricerca in un villaggio dell'Africa subsahariana occidentale. L'interfaccia che si viene a creare non veicola completamente il mondo opposto, ma è una semplificazione, un passaggio comune da cui filtra solo una ridotta gamma di significati, che può facilitare certi gesti e nello stesso tempo impedirne altri. Avete presente quel meme del cammello e della cruna dell'ago? 🥦 O quello del cammello e della grondaia? Una comodità in comune tra due discorsi che comunque faticheranno a parlarsi e non potranno capirsi (restando ciascuno nel proprio contorno) perché fondamentalmente rimangono sguardi non assimilabili. Questa parola in comune che abbiamo imparato assieme è solo la prima, la prima e necessaria per poi aggiungere in un lavoro collettivo altri pezzi fino a costruire un discorso nell'intersezione dei nostri due mondi.
2. L'icona e l'interfaccia sono una immagine - parola - significato che si autoavvera. L'icona home rappresenta, costruisce un senso e a tutti gli effetti porta alla home quando viene cliccata. In quest'ottica l'icona è una promessa e richiede al sistema che abita di essere un incantesimo coerente: come il dio garante che spacca la testa del Cartesio a metà e si incarica di far corrispondere res cogitans e res extensa: «si si» gli dice dio: «Ci sono qua io stai sicuro che quando schiacci refresh il browser si aggiorna». E così facendo crea il concetto di refresh, ne associa un gesto, delle conseguenze e lo mette sull'albero al centro del giardino, in attesa che poi qualche serpente faccia lo scherzo. L'icona contribuisce alla narrazione di un sistema attraverso le azioni e i gesti che la attivano e che attiva.
L'icona-murales attiva ed è attivata da un desiderio collettivo, creando così di fatto un network rappresentando il network.
3. Questa corrispondenza non è sempre data e ce ne accorgiamo dolorosamente o costruiamo castelli quando qualcosa non funziona. Il meccanismo di un'icona non è garantito a monte, ma fa parte di un sistema di significati che deve essere dichiarato. Un sistema che deve agire in entrambe le direzioni, al di qua e al di là dell'interfaccia, con un loop coerente tra azione e reazione, tra feedback e output.
4. Ogni immagine è frutto di un punto di vista ed è facile cadere nella trappola de il Junji Ito occidentale
Uno sguardo che crea da solo il sistema di senso entro cui il murales vive, proiettandolo sull'altro senza dialogo e scambio.
Per questo quando abbiamo iniziato a riflettere sul tipo di progetto e sui temi che ci interessava approfondire, ci siamo resi conto che le premesse avrebbero consentito di realizzare diverse declinazioni a partire da diversi luoghi. Con progetto intendevamo infatti un punto di partenza, una direzione di ricerca il cui sviluppo sarebbe stato necessariamente differente in base al posto che ci avrebbe accolti.
Da un lato la cosa ci ha messi un po' in crisi e non abbiamo potuto fare a meno di chiederci se a questo punto avesse senso andare proprio in Senegal o se a spingerci non fosse in realtà un semplice desiderio di avventura esotica.
Fortunatamente dall'altro abbiamo ritenuto che questa versatilità
non
fosse una cosa negativa e siccome un * salta è una concrezione nata
attorno all'idea di quel murales, a quel murales abbiamo deciso di restare
fedeli.
Realizzare il
primo lavoro a Koubanao non avrebbe di certo escluso la possibilità di continuare lo
studio altrove,
magari in luoghi a noi prossimi.
L'attenzione doveva andare anche però in una direzione che definisse realmente la diversità tra due realtà comunicanti: la nostra e la loro. Un'icona del resto ha il potere di mettere in contatto con il divino, con il mondo virtuale e distante di Koubanao ma anche con se stessi. Ripensandoci la vena narcisistica di questa rivelazione ha, in parte, reso necessario sviscerare il mistero: quali noi avremmo trovato dall'altra parte, nelle sabbie africane in territori del tutto al di fuori della nostra portata immaginativa e al di fuori delle nostre logiche determinanti.
Così, dopo tanto discutere, scrivere, cancellare e
ripartire, siamo atterrati in Africa, abbiamo risalito il grande fiume Casamance e abbiamo
posato i nostri
piedi sulla terra rossa di quella regione. Lì, di fronte a noi, fra la gente, la polvere
e i manghi
☞ Internet: to learn, to discover and to be closer. The
world a planetary
village.
Qua abbiamo messo una panoramica sul background teorico della nostra ricerca. Se immaginiamo questa pubblicazione tesa tra l'essere un saggio e un reportage, questa sezione tende più verso sinistra.
"come se fosse un'altalena"
Ciò non comporta un distacco dal reale comunque, o dalla natura narrativa e discorsiva degli altri capitoli. Ognuno continua a scrivere con la propria voce ed è interessante provare ad applicare questa modalità non solo al racconto di un viaggio, alle esperienze personali e le impressioni di ciascuno, ma anche al costruirsi di un ragionamento. Un pensiero che bene o male trova la sua strada nella riflessione personale, ma anche da intuizioni multiplayer e un continuo ping pong maieutico: sport preferito dei giovani nostri noi.
Ci siamo organizzati in 3D:
X asse locale / globale
Inquadrare la
località e la globalità della rete espone e cerca di validare la necessità
di un
internet situato: un internet determinato da
urgenze collettive[k][l][m][n][o] e identità culturali
variegate,[p] non solo un
network di estrattivismo e speculazione[q][r][s][t].
L'altra faccia della medaglia è un approccio critico alla necessità
di protocolli globali[u][v][w] e modalità di
comunicazione tra diverse località, che portano dritti al secondo
asse.
Y asse decentralizzato / centralizzato
Attraverso lo studio[x] dell'infrastruttura di internet viene introdotto il discorso riguardo la
possibilità di un protocollo comune
di matrice
non coloniale[y]. Da qui il punto viene ampliato mettendo a confronto
web
centralizzato vs decentralizzato[z][aa][ab], nella sua architettura
[ac][ad][ae]e urbanistica[af][ag][ah][ai]. Quando rifiutare i software del padrone e quando
invece
detournarli
/ deleggittimarli / o
caricarli dei nostri personali significati[aj][ak][al][am]? Fare affidamento sui software open source è
empowerment o tagliarsi le gambe da
soli[an]? Scenari
interessanti si
possono aprire mischiando il DIY al DIWO
[ao][ap][aq][ar]digitale.[as][at][au]
Z asse custom / preset
Internet crea il contesto sociale in cui ci muoviamo, online ed
offline[av][aw][ax][ay][az][ba].
Conoscerne le dinamiche, le forme e la struttura diventa cruciale per non restare travolti dalle
ondate di
narrazioni che genera. Si parla di costantemente (tra di noi, di un * salta) di una alfabetizzazione digitale[bb][bc][bd][be][bf][bg], ma effettivamente cosa intendiamo con alfabetizzazione? Forse creerebbe però
il terreno
solido su cui muoversi da una rete di preset, monolitica e imposta a una
serie
di "luoghi custom" che ci appartengono, e ai quali
sentiamo di
appartenere[bh][bi].
Chiude il capitolo uno sguardo sulla situazione che abbiamo trovato nel villaggio di Koubanao, una condizione per certi versi non totalmente diversa da quella Italiana: disponibilità tecnologica penalizzata da un accesso limitato per questioni spesso economiche, e per una mancanza di alfabetizzazione dcigitale[bj][bk].
https://computingwithinlimits.org/2021/papers/limits21-devalk.pdf
Inquadrare la località
"Internet è una entità singola ma con una miriade di proiezioni territoriali"[3]
Cosa vuol dire internet locale? a
quale
luogo ci si riferisce? Il luogo da cui viene trasmesso o il luogo in cui viene ricevuto? Il
luogo in cui si
materializza, e cioè il computer, oppure tutti i posti che attraversa sotto forma di onda
elettromagnetica o cavo sotto nel mare?
Alcuni spunti:
inquadrare la globalità
Annullare la distanza forse ha come effetto che chiunque possa proiettare la propria condizione sull'altrove, dando per assunto che tutti quanti siano seduti per terra, o stiano scrollando le notizie dal telefono, o abbiano una connessione super veloce, o siano effettivamente persone. Questo è un tranello in cui siamo indotti ed è la cosa più lontana dalla realtà. Il corollario è il memetto del cane[4]: nessuno sa chi sei, perché nessuno è portato ad immaginare una situazione diversa da quella che abita.
Forse è per questo che ci piace molto, internet ci rende padroni del nostro impero personale, uniformiamo la realtà a nostra immagine. Vediamo il murales [bm]ma in realtà stiamo guardando noi stessi e cosa c'è di meglio di uno specchio in questo mare di perduti viaggiatori tra dati, podcast, meme, Netflix che ringrazio e maledico per i consigli fatti ad hoc sulle mie ultime ricerche? Pure i suggerimenti di YouTube: in questi anni ho imparato a capire quanto una persona potesse essere diversa da me proprio da questi suggerimenti e, sempre con piacere, scopro i guilty pleasure delle persone simili ai miei, guarda un po' anche lui si vede i video delle lotte tra insetti.
🥦 Internet trasforma lo spazio in tempo, anzi lo annulla nella simultaneità del real time.
Considerazioni sul fatto che il presente di
internet cancella la storia locale del Senegal (e anche di tutti gli altri posti... )
in progress
Questa idea di globalità sembra insomma essere un presupposto fondamentale di internet, nel 2022 (sì, sono passati un po' di anni dal nostro viaggio in Senegal) . Ne definisce l'essenza e anzi pare essere diventato il minimo comune denominatore per qualsiasi comprensione di internet. Non che questo sia esattamente il primo pensiero che viene in mente a noi nativi digitali sempre attaccati al cellulare. Il fatto è che la capacità di internet di connettere diverse parti del globo, o di accorciare apparentemente le distanze fino ad annullarle è un qualcosa di così naturalizzato nel nostro quotidiano che viene dato per scontato.
Essere connessi non è più un big deal, è del tutto normale, anzi ci stupiamo e andiamo in crisi quando in certi posti la connessione è lenta o del tutto assente. Questo ci porta a modificare la nostra comprensione delle cose nel nostro quotidiano, le nostre stesse abitudini si sono sviluppate su una relazione necessaria con internet (Linton Kwesi Johnson cantava "internet is a bitch dere's no escapin it", o almeno mi piace pensarlo). Se da una parte internet rimane una costante invisibile, dall'altra si rivela con sicurezza attraverso certi gesti. Scrollare la bacheca, inviare messaggi ai nostri amici senza vederli da mesi (parentesi sul fatto che ci sia stata ed è in corso una pandemia? lol), ordinare cibo sul delivery service di turno, guardare serie tv su netflix o fare swipe su tinder (o le seghine su twitch), sono tutte azioni perfettamente normali, con un significato condiviso e presumibilmente condiviso con tutto il mondo.
Cosa succede se non è più la globalità ad essere il fondamento di internet ma internet il fondamento della globalità(ma soprattutto, l'internet delle grandi piattaforme)? E non solo della globalità, che a questo punto passa del tutto in secondo piano, ma dell'intera realtà in cui viviamo. perché è proprio questo che sembra succedere oggi. Il fatto è che le big tech sono state davvero radicali nel puntare tutto su questo strumento, e con tutto intendo davvero tutto, hanno portato alle estreme conseguenze questa idea di globalità fino a farla diventare universalità. Non solo tutte le altre declinazioni di internet sono completamente escluse dalla topologia creata dalle grandi piattaforme, ma l'intera comprensione del mondo in cui viviamo passa, per la maggior parte, attraverso di esse.
L'idea di globalità di internet oggi è forse più legata a questa universalità di gesti e significati che si portano dietro, creando un immaginario che presumiamo sia condiviso da tutti quelli che hanno avuto a che fare con internet, che a sua volta (per volere delle big tech) è ovunque. Insomma questa promessa di connessione globale di internet è un po' un cane che si morde la coda ed è anche un'idea o una scusa un po' obsoleta.
Annullare la distanza tramite internet è forse una delle pretese più riuscite delle big tech, nel senso che non è vero che internet annulla le distanze, anzi è piuttosto vero il contrario.
*una frase sul fatto che internet è completamente sincronizzato con le nostre abitutidini e viceversa, influenzando i nostri ritmi fino a rallentarli o velocizzarli con quelli delle grandi piattaforme. "hai speso 35 minuti su instagram" dice il timer che ho messo alla mia app.*
*se qui internet è così sovrabbondante *
*
*una frase sul fatto che l'internet delle big tech egemonizza i modi di usare internet facendo presa sulle abitudini del nostro quotidiano. offrono una scorciatoia, ottimizzano, facilitano etc.*
((((. Ma forse è più utile pensare a queste distanze in termini di temporalità?
real time e keeping up with platforms' rhythm.))
è a questo punto che si rende necessaria non solo l'idea di un internet globale, ma bisogna anche comprendere che il nostro internet e il nostro uso di esso è solo uno dei tanti, ed è tanto locale quanto l'internet locale che volevamo scoprire in Senegal.
sta parte è da sistemare un tot, scritta di getto per rompere il ghiaccio but workin' on it :)
---- chiudere il pragrafetto con il fatto che annullare la distanza sia spaziale che temporale possa essere per certi aspetti problematico, e che quindi ci interessa capire e ricercare in che modo internet possa riappropriarsi del concetto di località. O meglio, in che modo si possa riconoscere e far emergere la località di internet per legittimare e valorizzare realtà diverse dalla nostra. (c'è un qualcosa di paurosamente coloniale nel pensare che le tecnologie siano tutte uguali e che debbano essere usate nello stesso modo in tutto il mondo)[bn][bo][bp]
Ritorno agli spunti-ni dopo anni:
Piccoli esempi utopici e distopici: tra alternative non egemoniche e realtà estrattiviste e speculative
I livelli sopraelencati son gli stessi ma le dinamiche possono cambiare: l'utilizzo di altri strumenti social, di pubblicazione, di gestione può cambiare effettivamente l'approccio a questo stack complesso tra interfaccia-utente-mondo
Generalmente quando parliamo di internet parliamo del protocollo HTTP, ma ci sono altre soluzioni più ecologiche, utopiche e testarde: per esempio, il protocollo Gemini pare un revival dell'internet 0.1, senza immagini senza styles, che vuole essere una risposta radicale alla cultura della piattaforma e dello spreco di dati (-> wordpress, infinite scrolling)
La questione dell'internet decentralizzato in questi tempi è abbastanza hyped, per via delle crypto, ma è soprattutto altro: a livello di social si possono trovare esempi confederati come peertube o mastodon, software di, in questo caso, streaming video e social stile twitter dove ogni istanza (= installazione in un server) decide la propria "bolla", decide con chi legarsi e con chi no. Agency
L'approccio più generale alla computazione può essere messo in discussione: l'accelerazione nello sviluppo costante di gadget favolosi – obsolescenza ecc – costruzione di semiconduttori in Taiwan – sostenibile come una macchia d'olio dio boia
da riformulare cioè vaffanculo al rural computing
This first axiom can be narrated by the old Nokia motto "connecting people": RC would connect people and the whole ecosystem thanks to a local-related-technology, tools built according to what the ecosystem offers without any violent extractions of matter; but in the out-there world this motto is linked to the fact that to build a smartphone takes an entire civilization: "California, Japan, Taiwan, Congo, Switzerland, China are all connected by the supply chains of tech capitalism."
So, sustainability is surely the core of RC, instead of planned obsolescence, it's possible to think about planned longevity. Try to redraw computation for scaling down the requirements from the material world must be fundamental. If the world our there is constantly developing new, faster, more performing devices, is an acceleration of the catastrophe through extraction and waste of energy, RC would think of another kind of acceleration: a raccoon accelerationism, based on picking up rubbish to reuse for new purposes to embrace proper degrowth. This is a genuine meaning of progress, that does not constantly imply the abandoning of the old.
esempio pratico e concreto:
permacomputing, computazione che prende ispirazione dalla permacoltura
http://viznut.fi/texts-en/permacomputing.html
rendere collettivo un processo computazionale è complesso perché o si ha totale controllo su certi processi digitali (e non) o è proprio cazzo difficile avere empowerment quando si usa la suite di micro***t
Ma chi, nel 2022, sbatte la testa su self-hosted servers e ci installa dentro tutte le alternative possibili? solo dei disperati
ma questi disperati in realtà poi si coalizzano, fisicamente e virtualmente, tramite network umani e infrastrutturali: servus.at, ec… [to find to remember]
alternative all'internet come network
https://paquetesemanal.eltoque.com/
la questione dell'estrattivismo non è solo una questione di estrazione costante di dati in se ma è la questione dei contenuti creati (costantemente) da un sacco di utenti: qui il problema è ambivalente, l'estrazione e l'archiviazione di ogni dato è un problema più ecologico oltrechè di privacy, ma ci siamo rotti pure i suddetti a parlare di privacy
questione legale del publishing su facebook: è roba di meta quando schiacci il pulsante
e dall'altra parte il problema sono anche gli utenti per la totale o quasi mancanza di coscienza sullo stack
di cui stiamo
parlando ma noi che ci possiamo fare? proprio nulla? o se la gente sa e se ne frega? è
giusto pure
così
aspettiamo il collasso → collapse OS
pensare agli elementi dell'internet come qualcosa che può decadere, scadere, andare in pensione, circa
IPFS => un altro modo per scambiare i files nell'internet senza usare
http,
c'è anche ONION ehehe, peergos
rete locali wireless guerrilla etc (libretto rosa sulla tech e altre cose)
dare attenzione anche ai garden? revival dei blog? il modo in cui si pubblica cambia tutto – scrivere qualcosa su facebook, su medium, su un self-made website è differente – perchè?
ecco una mappamappa: forse bene fare un grafichetto
network di estrattivismo e speculazione[bq][br][bs][bt]
social good
un internet determinato da urgenze collettive[bu][bv][bw][bx][by] e identità culturali variegate,[bz]
un approccio critico alla necessità di protocolli globali[ca][cb][cc] e modalità di comunicazione tra diverse località
Nel periodo della nostra permanenza a Koubanao ha cominciato ad insinuarsi il pensiero che studiando la storia e le dinamiche dell'infrastruttura di internet si potesse comprendere meglio anche il tessuto della società contemporanea. Era solo un'intuizione, suggerita dalla percezione di uno strisciante e silenzioso colonialismo digitale e non, ma facendo le giuste ricerche si è rivelata precisa. In Senegal le conseguenze della dominazione francese si vedono ovunque, a partire dalla lingua, passando dall'architettura fino ad arrivare a carcasse di macchine inglobate dalla vegetazione. Gli oggetti parlano chiaro, perché l'infrastruttura fisica di internet non dovrebbe fare lo stesso? Internet che è diventato qualcosa di inscindibile, qualcosa di indelebile, qualcosa di indispensabile, perché nell'immaginario collettivo rimane privo di forma?
Sembra che si preferisca continuare a vivere nell'astrazione. è vero che percepiamo la sua presenza principalmente attraverso cellulari, computer e tablet, senza poter accedere a tutto ciò che accade oltre, ma la nostra consapevolezza dello strumento e del suo contesto non deve limitarsi a far scorrere il pollice sullo schermo.
Nel frattempo, per soddisfare il crescente
aumento
della domanda di spazio di archiviazione e larghezza di banda, l'infrastruttura aumenta,
assume forme
fisiche imponenti, si espande in tutte le direzioni e si impossessa di preziose risorse
naturali. Ha
occupato i mari, la terra e i cieli, eppure sembra essere immateriale. Per chi la osserva
è invece
un'ingombrante manifestazione delle
complesse
situazioni politiche, sociali e ambientali in cui ci troviamo. L'infrastruttura può
diventare
un paradigma emblematico del nostro presente, se decidiamo di prestarle attenzione.
Internet e la tecnologia
in
generale sono un patto stretto con la terra, la
fibra ottica, l'acciaio, la plastica, la luce, gli squali, gli scoiattoli, gli uccelli, l'aria e infine, anche con l'uomo.
https://www.youtube.com/watch?v=VVJlKJi9FWU
è il 17 ottobre 1851, fra St. Margaret's Bay, in Inghilterra, e Sangatte, in Francia, accade qualcosa che rivoluzionerà il futuro delle comunicazioni: viene posato il primo cavo sottomarino del telegrafo.
Questo strumento stava già radicalmente cambiando la percezione del mondo
e
le sue dinamiche, il progresso avanzava a gonfie vele ed eravamo in grado di espanderci
fluidamente in ogni
direzione, lo spazio stava assumendo tutta una nuova connotazione e noi assieme a lui.
Adesso
facciamo un
* saltino in avanti fino al 13 agosto 1858, quando Vittoria, regina a capo del Regno Unito di
Gran Bretagna
e Irlanda, invia un messaggio oltreoceano per la prima volta nella Storia. Ebbene sì, il
primissimo
cavo transatlantico entra in funzione (per solo un mese) (ma questo loro ancora non lo sanno).
Le sue parole
sono "Europe and America are united by telegraphy. Glory to
God in the
highest, on earth peace, goodwill towards men". Grandi feste,
grandi parate,
grandi discorsi, grandi incendi:
"We have been having a great time here, celebrating the success of the Atlantic Cable, cannon, flags, shouts, extra-papers, & extra-policemen, fireworks, crowds, processions, music, illuminations, transparencies, &c., &c., and ended by nearly burning down the City Hall, in our delight, it having caught from the fireworks, and lost its cupola, and part of its upper story."
Lettera del 18 agosto 1858 inviata da un visitatore di New York a suo zio[5]
Non tutti però sono della stessa opinione, sull'Harper's
Weekly
in una vignetta del 16 maggio 1857 si vedono due borseggiatori intenti a scambiarsi queste
battute:
"Folks call this Telegraph a Great Hinvention! I say it's
mean!
It don't give a Cove a fair chance! They'll know all about him in Hamerica
afore he gets
there!"
Già, perché il telegrafo non
servirà solo a
diffondere la pace e ad unire i continenti, in breve tempo si trasformerà da invenzione
scientifica a
strumento di potere al servizio dei grandi imperi coloniali. I suoi tentacoli svilupperanno una
rete
militarmente e commercialmente strategica per migliorare il controllo sui territori sottomessi.
Ed è
così che le presunte missioni di civilizzazione e le teorie che il progresso tecnologico
avrebbe
migliorato la vita dei "primitivi", si dimostreranno semplici mire per sottomettere
proprio
coloro che promettevano di liberare. La tecnologia giustificherà le azioni degli imperi e
darà
alla violenza sistematica una parvenza di civiltà, la vestirà di bianco per farla
sfilare
davanti agli europei soddisfatti delle loro buone azioni. La tecnologia non modificherà
le dinamiche
di potere, ma ne verrà imbrigliata, diventando una fonte di immenso guadagno per coloro
che
riusciranno ad assumerne il controllo.
Oltre al danno, non crediate di scamparla, ci sarà anche la beffa, in quanto l'esistenza stessa di questo strumento non sarebbe stata possibile senza il contributo delle risorse, delle conoscenze e della manodopera delle colonie. Per esempio, da esse proviene la guttaperca, una macromolecola di origine vegetale derivante dal lattice disseccato di varie specie di alberi della famiglia delle Sapotacee, tutte indigene della regione indomalesef. Questo materiale si era rivelato l'unico abbastanza resistente da poter sopportare l'ambiente sottomarino isolando i cavi in rame del telegrafo. Uno strano gioco del destino ha voluto che le specie di questo albero crescessero solamente nei territori delle colonie inglesi, francesi e olandesi, facilitandone lo sfruttamento.
Inutile dire che gli esiti di questa scoperta saranno catastrofici e causeranno una vera e propria strage. Secondo quanto scrive lo studioso francese Eugène Sérullas, a Singapore la pianta si era già estinta prima del 1857, a Malacca e Selangor lo sarà entro il 1875, e a Perak entro il 1884. Nei primi anni del Novecento si stima inoltre che la guttaperca nei cavi ammonti a circa 27000 tonnellate e supponendo che da ogni albero si ricavi una media di 311 g di lattice, arriviamo alla conclusione che in nome del progresso furono abbattute 88 milioni di piante.
Se ci spostiamo in India nel 1851 possiamo osservare William Brooke
O'Shaughnessy, un fisico irlandese facente parte della British East India Company, mentre
sviluppa un
sistema telegrafico diverso da quello che si sta studiando in Europa e America. Il suo lavoro
vanta un
utilizzo di tecniche metallurgiche tradizionali e indiane, affidandosi al lavoro di artigiani
locali.[6] Tuttavia
i meriti delle persone indigene non verranno riconosciuti in quanto il loro apporto non si
può
considerare all'altezza di quello degli scienziati europei.
Sempre in India durante la
dominazione
inglese, qualora ci capitasse di entrare in una stazione telegrafica, noteremmo una divisione
dei ruoli
molto impari, infatti gli impiegati sarebbero tutti indiani mentre i telegrafisti principalmente
europei.
Questa ripartizione dei compiti crea una forte gerarchia e impedisce a chi si trova più
in basso di
acquisire le conoscenze per ottenere l'indipendenza e le capacità sufficienti ad
utilizzare lo
strumento.
Bene, dopo tutti questi pellegrinaggi spazio temporali per seguire le
violente
vicende di un vecchio strumento che probabilmente nessuno di voi ha mai visto dal vivo né
tanto meno
usato, è giunto il momento di dare alcune spiegazioni. Il telegrafo ci riguarda molto
più di
quanto immaginiamo, anzi, ci riguarda talmente da vicino che ogni giorno abbiamo a che fare con
esso. Molti,
ma non tutti, sanno che il 99% dei nostri dati passa attraverso dei cavi sottomarini in fibra
ottica
adagiati sui fondali dei mari e gli oceani. All'inizio del 2019 TeleGeography[7] stima
fossero
in servizio
approssimativamente 378 cavi per un totale di circa 1.2 milioni di km, anche se fare i calcoli
con
precisione è sempre complesso dato che ne vengono continuamente attivati di nuovi e i
più
vecchi vengono dismessi. Fin qui, nulla di strano, è il progresso che avanza, siamo
abituati ai
grandi numeri.
Quello che più ci interessa è che la geografia della rete dei
cavi
sottomarini è una delle più statiche nella storia delle comunicazioni, il che
significa che i
percorsi dei cavi in fibra ottica ricalcano quelli delle vecchie linee telegrafiche,
ereditandone la topografia coloniale.
Per questo motivo i Paesi a sud del mondo che non hanno avuto un ruolo fondamentale nell'espansione del telegrafo si trovano con un'infrastruttura molto precaria, mentre gli ex imperi coloniali come Gran Bretagna, Francia e America possono fare affidamento su una solida rete. Nell'Africa post coIoniale la maggior parte delle linee telegrafiche posate nella frenesia della colonizzazione non sono state sostituite con i nuovi cavi telefonici e in fibra ottica.[8] I maggiori proprietari delle infrastrutture sono americani o europei e spesso scelgono i nodi di scambio solo come punti di appoggio per collegare il resto del mondo. Infatti se dei cavi passano vicino alle acque territoriali dei Paesi o addirittura emergono sulla loro costa non bisogna credere che quei territori siano automaticamente connessi ad internet. Come per esempio il Sahara Occidentale, davanti al quale passano circa otto cavi sottomarini, alcuni dei quali emergono anche sulle Canarie, senza che però ci sia una connessione con lo Stato. Lo stesso avviene in Eritrea, nelle cui acque di cavi ne passano dodici ma non è mai stata realizzata una deviazione verso la terraferma.
Le stazioni che accolgono i cavi nel punto dove emergono sono dei buoni
parametri
per valutare la solidità dell'infrastruttura di un luogo: più le stazioni
sono numerose,
più la connessione è stabile. I cavi in fibra ottica possono essere danneggiati
facilmente, le
principali insidie sono di natura umana come le ancore o la pesca a strascico, ma anche le
correnti marine,
i terremoti e gli animali possono causare dei grossi problemi. Ospitare una sola stazione
significa essere
esposti a tutti questi agenti e subire un guasto ai pochi cavi di collegamento ormai significa
venir
tagliati fuori dal resto del mondo. Il problema non è tanto quello di non poter avvisare
la mamma che
faremo tardi a cena, ma un rallentamento, se non addirittura un'interruzione, dei servizi
e
dell'economia. I casi in cui dei Paesi hanno dovuto confrontarsi con questa situazione
sono
molteplici. Per esempio nel 2008 l'ancora di una nave nei pressi di Alessandria
d'Egitto ha
danneggiato due linee di cavi riducendo la connessione internet in Egitto del 70%, in India del
60% e ha
influito su quella di altri cinque Paesi in Asia Meridionale e Medio Oriente. Nel 2012
un'altra ancora
ha reciso uno dei cavi che emergevano nell'unica stazione del Kenya, a Mombasa, e questo
danno ha
inficiato sulla connessione internet di sei Stati dell'Africa orientale. Invece
nell'aprile del
2018 la Mauritania ha perso completamente l'accesso a internet quando l'African
Coast to Europe
(ACE) si è spezzato all'altezza di Nouakchott per motivi
poco
chiari[ce][cf], lasciando il Paese senza connessione
per 48h e
causando significativi problemi ad altri dieci Stati africani.
Ci sono anche casi in cui
a guardare
il numero delle stazioni ci pare che l'infrastruttura sia solida, ma quando si studia la
loro funzione
si viene a scoprire che sono lì unicamente per la loro posizione strategica. In alcuni
casi infatti
servono solo da snodo per portare la connessione in altre parti del mondo e il risultato
è che il
tasso di penetrazione di internet risulta misero rispetto all'infrastruttura presente sul
territorio.
Questa situazione evidenzia ancora una volta come lo sfruttamento
dei Paesi in via di sviluppo[cg][ch] non si sia mai arrestato, permettendo al nord del mondo di progredire senza
che
gli Stati
ospiti possano trarre beneficio dal fondamentale ruolo che rivestono per l'infrastruttura
globale.
I cavi sottomarini sono solo uno dei tanti ingranaggi dell'infrastruttura e a qualsiasi livello del sistema possiamo trovare gli stessi meccanismi di funzionamento, anche se inseriti in contesti differenti. Gli esempi che ho citato non sono che una parte dei complessi fattori geopolitici, sociali e ambientali che compongono, strutturano e modificano il nostro presente.
Le grandi discrepanze e le debolezze infrastrutturali tuttavia sono destinate ad assottigliarsi, in quanto l'avanzata della tecnologia è un processo irreversibile al quale ogni continente sta andando incontro. Una delle questioni più scottanti diventa quindi non tanto la denuncia di queste differenze, ma le modalità con cui l'infrastruttura cresce, si rafforza o viene implementata nelle zone che sono più fragili e dispongono di meno risorse.
Prendendo in considerazione i cavi uno degli aspetti interessanti nel loro aumento è l'incremento costante degli investimenti da parte dei content providers come Google, Facebook, Microsoft e Amazon, i quali hanno cominciato come clienti di capacità all'ingrosso ma adesso consumano oltre il 50% di tutta la larghezza di banda internazionale e la crescente richiesta di spazio li ha spinti a possedere sempre più infrastrutture con il risultato che negli ultimi sei anni i cavi da loro parzialmente posseduti si sono ottuplicati.[9]
I cavi sottomarini sono la nuova via della seta e trasportano una delle merci più preziose e redditizie: i dati. Gestire questa rete significa gestire tutti gli scambi e il traffico delle comunicazioni mondiali. Ma quand'è che si supera il confine fra gestione e controllo?
Spostandoci invece sulla terraferma e parlando di cloud nel 2018 la Synergy Research Group ha pubblicato una ricerca in cui risulta che ci sono cinque attori principali nel mercato dei data centre: Amazon Web Services (AWS), Microsoft, IBM, Google e Alibaba. Queste compagnie insieme controllano tre quarti di tutto il mercato[10] e in testa al gruppo si trova AWS, che tutt'oggi detiene la quota del 33% sul mercato mondiale.[11]
Anche nei cieli sembra che il quadro non sia diverso: ai primi posti per
colmare
le
lacune infrastrutturali terrestri ci sono Google/Alphabet, Facebook/Meta e Amazon. Infatti
mentre il mondo
intero si sta trasformando in un codice/spazio rendendo impossibile vivere senza la connessione
internet, ci
sono zone in cui invece la tecnologia digitale non ha ancora messo radici e dove arrivare via
terra è
troppo difficile. Quando i Governi non hanno i mezzi o sembra non siano interessati a colmare
queste lacune
infrastrutturali, intervengono prontamente le grandi corporazioni, le quali per risolvere il
problema stanno
studiando e mettendo in campo diverse soluzioni: da droni a palloni aerostatici a più
classici
satelliti.
Ma i Big Tech non subentrano solo a livello fisico, accade infatti
che le grandi aziende tentino di condizionare anche verso un determinato utilizzo della
connessione. Uno
degli esempi più evidenti ci arriva da Facebook, con i suoi servizi gratuiti quali Free
Basics e
Facebook zero, applicazioni che permettono di connettersi ad una versione ridotta del social e a
dei servizi
di base come le notizie, senza pagare un abbonamento dati.
Alle accuse che gli vengono rivolte riguardo la violazione della neutralità della rete, la corporation risponde che avere accesso ad una parte di internet è meglio che non avere accesso a nulla. I rischi di queste limitazioni sono grandi, fra i primi quello che nelle aree in cui non c'è stata una crescita graduale assieme al web, Facebook diventi l'unica rappresentazione ed esperienza possibile della rete (fra l'altro il nome della sua grande partnership Internet.org la dice lunga sull'immagine che l'azienda vuole dare di se stessa).
Questo processo sembra proprio quello in atto a Koubanao, dove
l'infrastruttura c'è e funziona, ma la gente locale fa fatica ad affrontarne
i costi e
l'accesso limitato che di tanto in tanto riesce ad acquistare la tiene costretta nello
spazio dei
social. Un po' perché con 75 MB non si ha molto respiro, un po' per la
mancanza di
alfabetizzazione digitale, un po' per le ingerenze dei servizi gratuiti che monopolizzano
la
navigazione sfruttando le difficoltà economiche.
In questi contesti di pieno sviluppo e di avanzamento, dove tutto è in forte mutamento, abbiamo la possibilità di costruire davvero qualcosa che guardi al futuro, delle nuove ibridazioni fra territorio e tecnologia, delle nuove reti e delle nuove conformazioni sociali e spaziali che partano dalle configurazioni già esistenti e che tengano conto della complessità dando vita a delle interazioni attive.
Se queste aree tumultuose diventano preda degli investitori occidentali e cinesi e delle loro ideologie, il risultato sarà fallimentare. Lo sviluppo non va imposto e controllato, ma modulato. L'arrivo di capitali stranieri non è sbagliato, a patto che dialoghi con le entità locali. Deve quindi esserci sempre un bilanciamento fra ciò che entra e ciò che esce, l'infrastruttura non può restare invisibile e crescere solo assieme a chi la possiede, bisogna che accompagni, generi e sia il risultato di nuove strutture sociali, economiche e ambientali.
Internet è uno strumento globale: la
sua
infrastruttura (semplificando: i cavi sottomarini che percorrono il globo) ha una portata globale,[ci] ma i
servizi e le interfacce che la abitano potenzialmente possono avere forme di diversa grandezza e
diverse
sfumature.
Internet non è uguale dappertutto: dipende
dalle leggi di
un certo paese, dalle regole di copyright, dalla censura e così via.
Prima di tutto c'è da dire che Internet è potenzialmente il primo e unico[cj] spazio comune condiviso presente in tutto il mondo, però [ck][cl] forse questo non è 100% ver[cm]o, si pensi ad esempio al mare aperto e alle acque internazionali. CTRL C CTRL V da Wiki L'alto mare costituisce una res communis omnium, cioè un bene appartenente a tutti: qualsiasi Stato, anche privo di sbocco al mare, ha piena libertà di navigazione e di sorvolo, nonché di posare cavi o condotte sottomarine, costruire isole artificiali e altre installazioni purché autorizzate dal diritto internazionale; ogni Stato ha inoltre piena libertà di pesca e di ricerca scientifica.
Sono più gli Stati non connessi a internet o quelli senza uno sbocco sul mare? [cn]
Stati non bagnati dal mare (fonte wikipedia e il mondo) (47 al 2020) (in nero gli stati che non confinano col mare, in rosso gli stati che non confinano doppiamente col mare)
aree con utilizzo di internet inferiore al 20% della popolazione (fonte Business Insider 2019) (35 al 2019)
è interessante questa affinità tra lo spazio web e quella del mare aperto, e come proprio nel mare stia una parte nevralgica dell'infrastruttura di internet.
Il linguaggio cibernetico[cp][cq], quello dei computer, parte da un'affascinante dicotomia che se la gioca con 0 e 1, spento e acceso. Combinando in serie questo primo segnale, parte una serie di astrazioni che contengono la logica matematica di base (dichiarazioni "e", "o"[cr][cs] , somme, sottrazioni e via discorrendo) fino ad arrivare a qualsiasi comando che noi umani vogliamo far interpretare ai computer: un simpatico effetto farfal[ct]la su cui si costruisce tutta la computazione.
Quando il computer si connette ad un altro computer potenzialmente si
mette
in
pratica una discussione, c'è una comunicazione di fatto[cu][cv].
C'è chi manda e c'è chi riceve, praticando codifiche e decodifiche.
E'
necessario mettersi d'accordo su che protocolli usare e che regole rispettare.
Così avviene una qualsiasi comunicazione cibernetica, umani che chiedono a macchine di spedire un messaggio ad un'altra macchina da far leggere ad un altro umano. è un gioco di saperi che, parlando di rete, si concentrano in server e questa concentrazione genera potere, un potere passivo che plasma la condotta delle persone.
Per esempio, nell'internet ci si può formare politicamente, si
può aderire ad una ideologia su Reddit o si può scegliere quale sito di
informazione seguire,
prendendo in considerazione o meno la fattualità delle notizie riportate.
Questi sono
solo due
piccoli esempi di come internet possa modificare le forme e i confini della realtà
personale,
interpersonale e oltre-personale.
La forma di internet, se si potesse rappresentare[cw], prenderebbe la forma di un network decentralizzato, ma l'architettura del web era distribuita diversamente nei suoi primi anni di esistenza e il suo spazio veniva abitato diversamente.
Internet è questo miscuglio di protocolli di comunicazione e file sedimentati in computer di altra gente [cy]connessi con computer di altra gente: internet è tale perché è una continua connessione di relazioni antropiche ma soprattutto di macchine, che comunicano tra di loro con diversi linguaggi più o meno astratti.
[cz]Una pagina html[da] (hyper text markup language,
ovvero il linguaggio
per scrivere le pagine web) nasce
in
un editor di
testo in locale, nel proprio computer, per poi diventare coinquilina di altre pagine html in
un server[db] (le pagine html son possibile da
visitare da tutto il globo grazie a connessioni dai
propri dispositivi ai server, che sono le casette delle pagine. In realtà sono dei
computer
perennemente accesi e perennemente connessi a internet) e rivelarsi nell'intera rete. La
rivelazione
è il momento della pubblicazione, è il rendere noto un processo[12]: il tentativo di
proporre un bene
comune.
Dal microcosmo locale, il processo si proietta nel macro della rete globale ed entra in risonanza con
altri processi, altre pagine, links. Se il
processo propone un cambiamento può alterare positivamente o negativamente
l'esperienza dei
vari utenti, e si può definire uno strumento
politico[dc][dd][de]; immaginiamo il politico come un
terreno instabile perennemente in trasformazione dove avvengono cambiamenti etici, morali, di
valori,
sociali… I suoi strumenti sono quelli che incidono sulla trasformazione.
Un esempio pratico del processo di pubblicazione, della proiezione nel macro, può essere Git.
Git è un sistema di distributed version control molto utilizzato dagli sviluppatori software, ma il suo utilizzo non si limita alla programmazione. è più in generale uno strumento che consente a diverse persone di collaborare a uno stesso progetto tenendo traccia delle modifiche ai diversi file. Git tiene traccia dei cambiamenti in un file: del quando, del chi e del dove viene aggiornato qualcosa. è uno strumento che è stato inventato per collaborare, collettivizzando i processi di costruzione, ma che può anche vivere tranquillamente solamente nel proprio computer.
Ogni pacchetto di file viene chiamato repo (da repository).
Fin quando non viene pushato (git
push), i file
rimangono nel micro del disco locale del computer e fin quando non si esegue il primo commit
(git commit) la repo rimane solo
un'idea fatta di caratteri
alfanumerici.
Fin quando il git non vive in una repo
aperta[df], non
è possibile usare il git
come piattaforma per un discorso condiviso. Certo perchè ci sono anche repo chiuse,
immodificabili e
anche nascoste, che può vedere solo il suo creatore e collaboratori.
Una persona inizializza git con git
init che è un po' come scrivere un manifesto.
git
add per mettere insieme i messaggi necessari per la repo.
Quando avviene
il primo git push, i pacchetti digitali
viaggiano e si
aggirano per il globo come spettri.
l git commit descrivono tramite piccoli messaggi le modifiche fatte, che sono continue
necessarie
eresie in
divenire del progetto originale. Gli utenti sparsi per il globo possono usare il comando
git clone per clonare i file nel proprio
computer e aderire al
progetto, modificarlo addirittura e con adeguati permessi ridistribuirlo, espandendo così
il
messaggio.
è una questione di sincronia.
Luoghi di internet → computer, modem, cabine con la fibra ottica, dorsali delle linee telefoniche, cavi sottomarini che attraversano l'oceano, antenne e ripetitori, qualcosa che coinvolge anche i satelliti, data center ndo. Facile pensare che internet sia wireless ubiquo e invisibile.[dg]
l'idea di un internet a fette è interessante perché introduce la questione della composizione: come è composta questa località? quanto è umana e quanto è non umana?
E allo stesso modo questo internet delle località: quanto è abitato? quanto è imposto e quanto è costruito? quanto è locale e quanto è globale? Partendo dal presupposto che un internet dovrà sempre avere delle caratteristiche globali la questione diventa: quanto margine abbiamo per aggiungere o sottrarre qualità e arrivare a qualcosa di differente e, in una parola, locale?
🥦 Flashback di un video del 1987 in cui Donna Haraway commenta due numeri del National Geographic sui
primati e ad
un certo punto mangia una fetta di torta immaginando che sia una porzione di storia. I suoi
strati sono i
diversi livelli di significato che la produzione culturale attribuisce ai piaceri e ai problemi
della
storia: per comprenderla non basta mangiare la fetta in un boccone, ma bisogna gustarne i
singoli strati.
Allora mi viene da pensare a internet più come uno di questi di strati, il cui sapore e
consistenza
influenza ed è influenzato dagli altri, regolando di volta in volta il sapore della
torta. Questo per
dire che internet non è solo una tecnologia diffusa che collega diverse parti del globo,
ma è
anche inevitabilmente situata, dal momento che assorbe e produce cultura.
Nell'internet locale gli aspetti qualitativi sono
importanti
tanto (se non anche di più) quanto quelli quantitativi: a proporzioni simili
corrispondono gusti,
abitudini, necessità e modalità di comprensione diversi.
Le api invece hanno cecità al rosso, non perché vedono meno o peggio di noi, ma semplicemente perché il loro spettro visibile è spostato verso lunghezze d'onda più corte, infatti la loro visione comincia dall'ultravioletto e termina all'arancione. L'occhio di questi insetti è strutturato diversamente dal nostro e, anche nelle zone di banda in comune, non distingue gli stessi colori. In seguito ad alcuni studi di inizio Novecento sappiamo infatti che vedono principalmente il giallo, il verde-bluastro, l'azzurro e l'ultravioletto. Ma anche per questi insetti quando tutti i colori che possono percepire sono mescolati assieme si produce uno speciale tipo di luce, che il biologo austriaco Karl Von Frisch chiama il bianco delle api. Per esse è dissimile da qualsiasi altro colore e si forma solo in presenza dell'ultravioletto, se quest'ultimo viene rimosso la luce per le api diventa verde-bluastra. Poiché non percepiamo l'ultravioletto, per noi il bianco resta uguale. Così, ciò che ci sembra bianco, per le api può essere due cose diverse: il bianco delle api oppure il verde-bluastro.
Quella che mi immagino essere la rivoluzione nel nostro rapporto con internet dovrebbe portarci a vedere un nuovo bianco, qualcosa che è la somma - la globalità - di tante nuove frequenze proporzionate - di diversi spazi a livello locale. Il risultato è uno, ma non lo sarebbe senza il contributo delle sue parti, le quali a loro volta senza la collaborazione e l'unione non avrebbero lo stesso significato.
L'invito che faccio è di dare importanza agli aspetti quantitativi, ovvero prestare attenzione ai rapporti e alle dosi delle varie componenti, riesaminarne il ruolo, trovare gli elementi mancanti. Non è uno stravolgimento o un salto nel vuoto, si tratta di uno slittamento per arrivare ad uno spettro del visibile nuovo, si tratta di aggiungere l'ultravioletto.
Eccomi a scrivere questo pezzo di capitolo dopo circa tre anni, dopo
un
master in "queste cose qui", dopo aver (quasi) totalmente ripudiato l'azienda
che ci offre
il servizio di documento di testo condiviso che stiamo utilizzando per scrivere quel che state
scrivendo e
altre classiche dinamiche da giovani studentesse d'arte e desain.
Le nostre idee, nel
mentre, si
sono evolute e penso anche velocemente, ma mai velocemente tanto quanto l'aumento di dati
presenti nei
server delle varie piattaforme di cui abbiamo parlato/stiamo parlando/parleremo.
I ruoli di
queste
piattaforme sono oggettivamente importanti, nel senso che è possibile che in un futuro
vicino
l'impatto sociale di esse sia tanto quanto quelli di Governi tradizionali. Già da
vari anni,
certe piattaforme, hanno potere decisionale e collaborazioni con tanti Paesi; e la
preoccupazione che mi
concerne è che l'ultravioletto venga dettato solo ed esclusivamente dalle
piattaforme
invalicabili dei big tech.
Allora, questi servizi sono entrati tranquillamente nella vita quotidiana di tanta gente come servizi di movimento privato, sharing di biciclette, ma anche riguardo il movimento non letterale, come per esempio servizi di gig economy (ovvero gente che svende le proprie velleità in cambio di pochi dollari: hai bisogno di una voce per un video? Investi 5$ per una voce profonda e sarai soddisfatto, ma mi raccomando lascia il feedback) oppure servizi di caring basato su A.I. (un esempio controverso è Replika, una app A.I. sfortunatamente famosa per aver avuto casi di induzioni a sucidio). E vogliamo dimenticarci delle dating app?
Ce ne sono di tutti i gusti! Tinder, Grindr, Bumble…
Tali servizi portano, per la maggior parte degli utenti, effettivamente comfort. Ma rilegano tutto in un contesto preciso. E questo contesto sforma la vita di ogni utente, ovvero che ci son delle regole da seguire, dei pattern, delle gestualità precise. La politica globale nella vita di tutti i giorni: se succede a me deve succedere anche a te, a priori, in qualsiasi parte del mondo.
Questo fasullo principio di uguaglianza distrugge le particolarità di
ogni microcosmo, rende tutto estremamente gassoso. I
gas si espandono in un contenitore in modo pervasivo, vanno ovunque: ci tengo ad usare questa
metafora.
La pervasività di tali servizi è immensa, i contesti divengono
monolitici, sono
unici. Le particolarità culturali, geografiche, politiche ed economiche di un luogo si
azzerano, ed
è qui dove la narrazione si
interrompe. E'
scontato da dire, ma senza alterità è estremamente creare conflitti e pertanto
discussione e
novità.
Adesso, come si può trasformare questo? Ha senso immaginare un servizio
come
Just Eat che cambia in base alla provincia?
E' complesso immaginare i servizi sopraelencati in una dimensione custom e locale, ma si potrebbero proporre differenti approcci per concepire, pensare e configurarsi con le piattaforme.
Per esempio, tramite il caring, tradotti in premurosità, ovvero immaginare il principio primo delle piattaforme il mutuo aiuto in una certa comunità, creando così luoghi di appartenenza dove le piattaforme possano essere un aiuto, non un sostitutivo totale alle interazioni umane.
Tre di noi hanno studiato/studiano presso il Piet Zwart Institute a
Rotterdam,
nel Master "Experimental Publishing". Per farla breve, il corso è basato sul
rendere
pubblico e accessibile "le cose".
Ogni
classe
ha un serverino domestico, un piccolo computer che vive nel nostro studio ed è luogo di
sperimentazioni di codice e di abitare i
dati. Il
preset è concetto estraneo, l'idea è di lavorare nel puro DIY e DIWO,
condividendo
codici e testi, interagendo tra pagine personali, sonorizzando dati collettivamente, muovendosi in
città tramite mappe online modificate.
Ci sono pochi esempi concreti da proporre, perché la violenza sistemica causata da queste piattaforme è sottile da concepire e spesso, a livello sia tecnico che morale/sociale, la costruzione di alternative è quindi complessa.
Alfabetizzazione: proponiamo questa disciplina non in un senso classista (io
so
questo, quindi devi saperlo anche tu se no sei scemo) ma in un senso di re-learning, ovvero la messa in discussione delle
proprio
gestualità quotidiane e nel caso, soffermarsi anche sui bassi fondi di
quell'iceberg che
è l'internet contemporaneo.
Si può e si deve concepire una diversità digitale, un po' come si apprezza
la
diversità ambientale nella geografia italiana, stessa cosa si dovrebbe nel regno del
network
dell'internet.
Capire come e quando richiedere un network centralizzato, decentralizzato, distribuito, che protocolli utilizzare per comunicare, sia nel privato che tra piattaforme, il tipo di linguaggio da usare, sia in termini umani che computazionali…
Certo, il computer pensa in "sistema binario", ma noi, gli utenti, abbiamo una vastità di "decimali" da far paura. E anche pensarci come numeri fa ridere. Siamo numeri uniti ad un arcobaleno uniti alle carte "imprevisto" del monopoli. E così l'approccio che dovremmo intraprendere con le piattaforme.
Quasi mi dimenticavo della torta. Una sacher decentralizzata con gelato open source, grazie
%%%%%%%%%%%%%%
in questi termini la ricerca di un * salta ha voluto concentrarsi su una località umana, influenzata dalle abitudini, dalle vite e dalle condizioni dell'infrastruttura legate al villaggio di Koubanao, in Senegal.
Detto questo, un internet locale non vuole essere un internet eremitico, un internet della montagna, un internet dimenticato o sconosciuto o privato. Quando parliamo di internet locale ci riferiamo a due grandi potenzialità:
Ecco è questo che come gruppo si cerca o si prova di innescare: una situazione in cui questi due fattori si manifestino. in assenza di entrambi tutto suonerebbe più come una gita allo zoo o una vacanza umanitaria, che a quanto pare è una delle frontiere del post turismo.
Un'altra importante precisazione mi sembra essere questa: paese che vai usanza che trovi, ma anche usanza che può nascere. Il punto è cioè che lì in Casamance esisteva la potenzialità di creare qualcosa di diverso, su misura del luogo e nuovo; non per forza il prodotto già confezionato e pronto alla distribuzione una volta tornati a casa.
A quale forma ci riferiamo? C'è un internet sul mio schermo, un internet che passa per il modem, un internet rifratto nella fibra ottica interrata sotto le nostre città e un internet nei data center. è sempre lo stesso internet? Ha sempre la stessa forma? Ha sempre la stessa consistenza?
Un esercizio utile può essere quello di capire dove è internet. Quando il wifi era ancora una novità mi faceva sempre ridere ricordare agli adulti che non capivano bene come internet non cadesse dal cielo. Non faceva sempre ridere - scherzo, a volte era esasperante.
Forme di internet → come ci appare internet?
Modalità di internet → funzionamento?
Possibilità di internet → cosa ci permette?
forme, modalità e possibilità sono tre nodi consistenti su cui impostare il discorso. sono tre aspetti che entrano in gioco l'uno con l'altro per completarsi a vicenda e sopperire gli uni alle mancanze degli altri.
la forma influisce sulla modalità.
la modalità permette la possibilità
la possibilità genera la forma
assurda sta cosa che geometria perfetta, vuol dire che è una cazzata o c'è sotto qualcosa. qualsiasi rappresentazione schematica del mondo è un'approssimazione.
la forma è l'interfaccia. è il fatto che internet sia visibile o meno. è quello che ci spinge all'interazione oppure ci blocca l'accesso. forma può voler essere il design del layout di instagram e allo stesso tempo il flusso invisibile che comunica le condizioni meteo, o gli ultimi arrivi in biblioteca. come internet appare modifica il modo in cui lo utilizziamo.
è un aspetto funzionale.
La modalità è il funzionamento di un'app, di un sito, di un servizio streaming online, di un social o di un e-shop. Cosa mi permette di fare? Cosa non mi permette di fare? E perchè non me lo permette? Perché non può o perché non vuole? La modalità è l'idea che muove tutto dopo esser stata realizzata. Un'idea concretizzata, scesa a compromessi con il mondo reale, con l'apparato tecnico e con i dettagli economici.
è un aspetto pragmatico.
La possibilità è sia l'idea che muove prima di confrontarsi con il mondo reale, sia la proprietà emergente di un sito. è lo spazio agli estremi dello spettro di utilizzo: il vagare libero della fantasia (un sito che prepara anche il caffè? wow) (bè, si usava dire così, ma ormai pure la macchinetta è connessa alla rete e ti manda le notifiche di quando è pronta), e l'utilizzo assurdo degli strumenti che offre (drum machine in excel?). Sparare alto e raschiare il fondo. Possibilità è esplorare il labirinto con la mano sempre fissa sul muro: non il modo più veloce, ma di sicuro quello più approfondito.
è un aspetto creativo.
Ora lo spazio di internet è occupato principalmente da un pugno di big-tech corporation che hanno standardizzato la rete creando così una egemonia, dettando usi e costumi per tutto il regno digitale.Nell'IRL l'architettura e l'assetto urbano plasmano la vita sociale delle persone, nell'URL il corrispettivo sono i dispositivi e le interfacce.[dh][di][dj]
Chi costruisce internet ha quindi un certo potere sulle modalità di interazione tra gli utenti: le interfacce che usiamo facilitano certe relazioni e ne impediscono altre, creando a tutti gli effetti diversi punti di vista.
in critical atlas of internet vengono proposti alcuni esercizi di visualizzazione per immaginare la forma, l'organizzazione e le dinamiche di internet. Una delle caratteristiche che viene trattata è la pendenza del web: Druhle immagina un internet in salita (o in discesa) per descrivere meglio la tendenza delle grandi piattaforme di accentrare e monopolizzare il traffico e le abitudini degli utenti in rete.
Come buchi neri che curvano lo spazio, i grandi servizi online modificano i flussi di navigazione, influenzando la traiettoria degli utenti e le forme di navigazione attraverso i diversi siti e indirizzandole verso i soliti portali: Facebook, YouTube, Amazon, ecc.
La pendenza che si crea rende ostico a un nuovo utente risalire la corrente e vincere i pattern gravitazionali della silicon valley. in quest'ottica non mi stupisce che gli studenti di Koubanao conoscessero poco oltre all'universo facebook e google (in particolare youtube).
🥦 * altra considerazione su atlas of internet quando parla delle schermature di internet, per collegare i due discorsi, in progress *
*anche la sezione di network of networks è super sul pezzo riguardo il nostro projecto*
caratteristiche che promuovono / impediscono un internet artigianale
La possibilità di personalizzare uno strumento o meno altera
completamente l'esperienza di navigazione, in più offre maggiore controllo sulle
proprie azioni
e su quelle dei propri "compagni di server".
la difficoltà di
personalizzazione: se un
certo servizio offre comodamente certi strumenti sulla propria piattaforma, un utente non si
pone il
problema della téchne[dk] e quindi aderisce
alla standardizzazione.
Conseguentemente, se un certo servizio offre una grossa quantità di interazione tra un buon numero di utenti, l'user non si pone il problema della qualità dell'interazione. Tipo, quando qualcuno condivide un proprio contenuto è generalmente più soddisfatto nell'avere immediatamente tanti feedback di poco conto che pochi ma buoni feedback in un lasso di tempo maggiore. idk questa seconda frase 🥦 forse l'aspetto comodità è un qualcosa più legato ai dark pattern delle interfacce? quello che c'è scritto dopo è un po' confuso in effetti
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Questi aspetti si possono applicare a tutti gli elementi di internet: da un server a un social media, da un blog ad un e-commerce, da un foglio di lavoro condiviso online ad una piattaforma multimediale ecc ecc…
La standardizzazione degli strumenti è un fatto politico che sta avanzando sempre più voracemente. Se i CEO delle Big Tech sono based @ Silicon Valley, noi vogliamo ipotizzare piattaforme orizzontali che abitino a Koubanao: pensare ad un diverso assetto urbano per internet, una ipotesi per un internet locale.
Se immaginiamo le possibilità di internet come un qualcosa delimitato da una cornice, tutti i suoi strumenti sono parte di una tela. Ma diciamocelo, è una tela grandissima e possiamo trovare il nostro spazietto per disegnare una draghetta con la coda da topo e la tenerezza di una lontra: esiste o non esiste, un * salta la progetta e lì la stampa.
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internet è solido o liquido o gassoso?
internet è
luminoso
approfondimento specifico internet a Koubanano
A koubanao Internet e la tecnologia telefonica ci sono e potenzialmente funzionano al pari nostro, di fatto però le persone, per la maggior parte, non hanno computer personali e una connessione propria, o non hanno denaro da spendere per tot gigabyte al mese. Esatto, l'infrastruttura c'è e funziona, in mezzo alle case e agli alberi della foresta troneggiano i ripetitori televisivi e telefonici e il segnale è buono (molto più buono che a casa mia in Liguria o in altre parti d'Italia che sembra di stare nel deserto), solo che la gente non si può permettere l'abbonamento.
Nei villaggi ci sono i "CYBER CAFE" luoghi, anch'essi, comunitari dove puoi utilizzare i computer,
ricerchina:
cyber caffe e' un modo pe andare su internet a prezzi accessibili?
(tesi co focus sul ghana ma che parte da una visione generale delle narrazioni su africa e tecnologia)
Producing the Internet and Development: an ethnography of Internet café use in Accra, Ghana
(articolo 2012 cyber café in senegal: manca la corrente, non la connessione)
https://www.biztechafrica.com/article/senegal-power-hampers-internet-cafe-growth/4893/
(articolo che evidenzia come a mancare a dakar non sia la connessione ma la corrente)
(indagine sull'utilizzo dei media tra i giovani in diverse zone del senegal)
Health-related media use among youth audiencesin Senegal
ma non sempre funziona internet.
Il Liceo è dotato di una stanza di informatica: una sorta di lavagna elettronica e una cosa come 50 computer non di produzione recente di cui una ventina ancora funzionanti: il materiale era tutto accatastato e impolverato, la sabbia ha intasato buona parte dei calcolatori, impedendone l'accensione.
Internet anche lì però non è presente, per connettere tutto il sistema LAN di computer è necessario staccare il modem della presidenza e portarlo in aula informatica (e comunque andava spingendolo) e al momento del nostro arrivo la lezione di informatica consisteva nel fare disegni con excel e comprendere il sistema binario.
Per quanto riguarda i telefoni, quasi tutti i ragazzi sono dotati di smartphone e qualche tablet, ma anche in questo caso la connessione è poca, i contratti telefonici, per traffici dati simili a quelli a cui siamo abituati, sono costosi per loro
https://www.orange.sn/pass-internet
Volendo
essere
precisi (dati relativi al 2019-2020) i 75Mb hanno la durata di sole
24h
e costano
250F, che per noi sarebbero circa 38 centesimi. Può non sembrare molto ma se consideriamo
che per
pranzare fuori al ristorante del villaggio si spendevano circa 2€ capiamo subito che in
proporzione
quei 250F sono una bella cifra. Facendo inoltre un paragone con i nostri abbonamenti dove
spendendo 10€
abbiamo addirittura giga illimitati, risulta evidente che in Senegal la connessione è
molto
più cara.
In sostanza c'è un problema di connessione non tanto fisico, perché le infrastrutture ci sono e funzionano bene, ma quanto economico: l'accesso non è facile perché costoso. Ciò genera una non coscienza del mondo Internet - alcuni non sapevano cosa fosse Wikipedia - riducendolo alla messaggistica istantanea e luogo di personale presentazione alla community… e questo quindi ricorda sostanzialmente le dinamiche social.
forse in tal modo riducendolo ancor di più alla sola messaggistica istantanea, seppur avanzata: anche l'utilizzo dei social media per come lo davo per assodato mi è parso molto differente a Koubanao, probabilmente perché la mia idea è scolpita dal mio stesso utilizzo, o ancora perché questa mia idea utilizza una connessione no stop, e questo è un fattore determinante che a Koubanao è utopico.
Però ad esempio mi ricordo di quando, durante la lezione, qualcuno passava il tempo delle lezioni di html a guardarsi le storie di Instagram… Per alcuni aspetti il loro utilizzo mi sembra simile al nostro, però poi guardo la bacheca di Precious, una nostra "studentessa" e ci sono solo post pubblicati da ragazzi che taggano dalle 13 alle 30 persone tra cui lei, tutte foto di loro in posa a volte con strani fotomontaggi o effetti super opacizzanti con il glow.
Difficile anche paragonare l'uso dei social in Senegal con l'uso che ne facciamo noi occidentali. Il risultato potrebbe essere in certe occasioni simile, come lo sharing di selfie abbinati a frasi per acchiappare likes, ma lo stesso gesto ha un peso completamente diverso in Senegal.
Riguardo alla limitata gamma di possibilità che offre la connessione gratis de Facebook:
se hai solo quello non è che puoi fare molto altro, anche perché fb in base alle community che frequenti hai modo di conoscere pomosessualeomosexuò[dl] essere sia estremamente ricco di contenuti sia allo stesso modo deserto e ridondante.
Pochi giorni alla partenza.
Situazione fervente.
I colleghi del collettivo chini sui computer scrivono, si confrontano, io osservo, leggo e mi domando: c'è qualcosa che, in tutto questo lavorare, non mi crea la situazione consona per mettere a fuoco, qualcosa manca.
La nostra destinazione è il Senegal, paese dell'Africa, continente a me estraneo se non per qualche immagine edulcorata fornita da Bob Marley o nozione politica data dalla geografia studiata al liceo: guerre e conflitti internazionali, esponenti neri militari venduti al soldo dei servizi segreti americani che sfruttano la popolazione, che creano ostaggi. Se mi perdo a pensarci sento tamburi, tanti tamburi, mi viene in mente l'amico Luigi italo francese, e quando dico italo intendo meridionale, batterista funky grasso che sbotta "Eh io con i senegalesi…", si parlava di tenere il ritmo insomma, sessioni sudate di bonghi e pelli tirate: sbouuum suono di pelle poco tirata, sboom pelle tirata. Le piroghe addormentate sulla spiaggia, lunghe barche, sproporzionate frecce che si buttano nel mare africano colme di equilibristi neri, un tramonto colorato alla Hugo Pratt.
Insomma oltre a queste immagini riverberate, il resto delle nozioni le ho acquisite in questi giorni, tra queste, il fatto che le temperature siano tra i 18 e i 30 gradi mi pone in una condizione nuova e straniante — quando i miei amici figli di gondolieri andavano in vacanza alle Maldive durante il Natale, la mia famiglia lo passava nel freddo Piemonte cullato dalla neve e dalle luci calde e arancioni delle case e degli alberi di Natale orgogliosamente imbastiti — il mio corpo dice "è inverno che strana deve essere l'estate ora".
Altra nozione senegalese, parlano il francese parbleu non ne conosco una parola, come potrò comunicare? Ma fortunatamente si dice che i fratelli senegalesi siano molto ospitali e ricolmi di pazienza. Proprio questa: la pazienza, la grande virtù, abbasso le pulsioni e viva l'equilibrio, servirà in questo viaggio.
Partendo da questi presupposti si può intendere che il Senegal sia del tutto una terra inesplorata, per me, povero perduto musicista pesce perennemente fuor d'acqua, come per tutti i miei colleghi: Erica Gargaglione, heidi (per i capelli e la gentilezza) reggiana dal forte gusto grafico; Francesco Luzzana, catalizzatore di energie e idee che fa della sua timidezza la sua forza; Federico Poni entusiasta piccione entusiasta artista entusiasta; Sofia Merelli nobile mangiatrice di pasta al pesto traduttrice e mamma per tutti noi; Alessandro Gambato, esteta sound designer portatore di cappelli storti.
Proprio la non conoscenza, ci pone nella privilegiata condizione di viverci e vivere questo viaggio alla stregua dei primi esploratori, pionieri dei mari. Pionieristico è anche il perché, il motivo del nostro viaggio, andiamo lì a parlare, discutere, creare, intrecciare relazioni, fare network, hyper bing watching, displacement parties, live set ambient con animazione vvvv, documentario 3d, spade laser e spero buon cibo, verso l'infinito e oltre, citando il più imperterrito degli esploratori Buzz Lightyear.
Fondamentalmente, per tornare dallo spazio alla terra, ci siamo resi conto noi collettivo UN * SALTA, di essere totalmente ingarbugliati in quella che, metaforicamente, potrei paragonare all'enorme rete appiccicosa di un ragno altrettanto enorme, enorme come il nostro mondo, e questa rete appiccicosa ci lega ci unisce e connette, in un certo senso potrebbe sembrare che ci porti e conduca verso un comune modo di pensare, una comune struttura mentale. Senza continuare ad essere così misterioso, questa rete appiccicosa si chiama internet e noi appiccicati siamo i suoi fruitori, utenti. Lo scopo del nostro viaggio sta nell'interagire con i vari aspetti di internet e anfratti del mondo virtuale insieme ai nostri futuri amici senegalesi. Lontani dalla nostra Milano, Venezia, Pavia, Reggio Emilia, Bergamo e testimoni di un altro modo di vivere. Ci scopriremo e porteremo insieme un lume amico da appoggiare sul comodino, sentirne gli odori e osservarlo perdersi nel tempo consumandosi lentamente alla stessa velocità in mondi distanti. Luoghi di chiese gotiche e medievali con macchine ferrigne e motoscafi lucenti e foreste sacre e fiumi ricolmi nel mare caldo e ventoso odore di incenso e carne…
Effettivamente, se ci penso, la cosa che manca per la messa fuoco è la mia presenza lì, lascio le parole e accolgo la pratica: eccomi seduto nella mia camera senegalese, fotografo provetto di sensazioni e visioni confuse sul finire della mia prima giornata africana.
Poco male che il nostro volo venga cancellato e rimandato di un giorno: non avevamo ancora fatto la valigia. un * salta trascorre un piacevole viaggio accompagnato dai manicaretti de Cabo Verde Airlines e il panino al formaggio offerto nell'ultima tratta volante dall'isola di Sal all'aeroporto di Dakar.
Diciamo che le impressioni sono tante, l'Africa senegalese è senza ombra di dubbio esotica e la sua capitale, Dakar, è un gigante scheletro sabbioso; tutto ciò che vedo in un certo senso riporta all'immaginario che mi ero proiettato della tipica città africana: confusione, caldo, bambini neri che giocano a palla, donne dai vestiti sgargianti, cibo lungo le strade polverose, uomini severi, denti bianchi e sprazzi di miseria.
Per rendere la descrizione più incalzante e meno macabra, si potrebbe pensare a Dakar come un grande piatto, nel quale vi mangiano seduti attorno un milione di abitanti; piedi scalzi, mani unte, sorrisi, cordialità e, appunto, tanta confusione. La ricetta è a base di pollo e manzo, riso e verdurine piccanti. Nell'aria si respira sentore di acero e palo santo misto a ventate di bruciato e fumi di tubo di scappamento. Clacson ogni due per tre e code polverose di macchine infinite srotolate nel mezzo di palazzi in costruzione.
Prima di andare in Senegal non ero mai uscita dall'Europa e parlare di culture diverse mi faceva sempre uno strano effetto, pensavo che dopotutto siamo pur sempre persone e che la percezione degli altri non potesse davvero essere così differente da come siamo abituati, soprattutto se non si hanno preconcetti ostili e radicati. Inoltre sull'Africa si vedono di continuo tante immagini, probabilmente è fra i luoghi esotici più inflazionati, vuoi per i documentari di Rai 5 sugli animali della savana ecc ecc, vuoi per le pubblicità sulla fame nel mondo prima dei video di YouTube ecc ecc. Forse per tutta questa serie di motivi non sapevo di preciso che tipo di reazione avrei avuto, ma continuavo a pensare che le persone sono persone ed è la cosa più forte che arriva quando ci si relaziona con gli altri. Invece non è affatto così, l'alterità culturale è qualcosa di sconvolgente, essere gli unici diversi in un luogo molto lontano è estremamente faticoso. Non basta essere persone per capirsi, oltre alle difficoltà linguistiche sei obbligato a chiederti continuamente che tipo di persona tu debba essere per entrare in sintonia con l'altro e per rispettarlo. è bello che sia così, ma da giovane ingenua, adagiata nella mia culla occidentale che tende a insinuarsi ovunque, non mi aspettavo che avrei davvero avuto difficoltà nel capire qualcuno di fronte a me. Anche se forse con parecchie sfumature in meno rispetto al passato, le culture sono forti e ramificate, le culture sono persone che hanno un'aura diversa dalla tua e il mondo che li circonda assorbe e alimenta quell'aura.
L'arrivo nella capitale senegalese è stato fin da subito denso di emozioni. Scesi dal volo abbiamo affrontato i vari controlli, uomini neri vestiti da strada con un cartellino identificativo ci venivano incontro indicandoci le procedure da seguire, approvando il nostro passaggio e scherzando con gli amici intorno. Si passavano la serata in aeroporto svolgendo il loro lavoro socializzando.
All'aeroporto nuovo di Dakar un gruppo di cinesi a caccia di affari e investimenti nel campo edilizio e infrastrutturale del Paese (lore non confermata) ci supera con agilità per farsi ammettere al continente: sanno tutti i trucchi di frontiera perché sono imprenditori navigati, mentre noi di navigato niente, solo Tiziano Pastor che pagaia in kayak.
Dopo mezz'ora buona di recupero bagagli usciamo all'uscita arrivals e come nel film sono lì tutti accampati a vedere chi uscirà da questa astronave de Cabo Verde Airlines
Il primissimo impatto una volta superate le porte che conducono alla sala degli arrivi, è con l'odore, l'odore di Africa di cui solitamente percepiamo le scie nei negozi etnici o nelle bancarelle estive di variopinti tessuti importati. Solo che stavolta è molto più intenso e penetrante. L'ambiente asettico del nuovo aeroporto di Dakar, estremamente pulito e omologato a qualsiasi altro aeroporto occidentale, non può però sottrarsi alla sua vera origine geografica, che impregna le persone e l'aria e scivola sui pavimenti lucidi, sui nastri trasportatori, dentro e fuori dalle porte automatiche.
Usciti
dall'aeroporto ci troviamo con il nostro
contatto Baba: uomo senegalese sulla
quarantina, sorriso da giovane ragazzo, faccia in realtà senza età. Baba lavora a
Pavia ed
è in Senegal a visitare la famiglia. Ci accoglie calorosamente e sottolinea che
ciò che
è importante del nostro viaggio/progetto, non è tanto il perché ma
l'azione,
l'agire nella terra della lentezza. Ci porta verso il parcheggio e l'auto
proteggendoci da
milioni di tassisti in cerca di clienti, accompagnato da ombre scure in processione.
"Abbiamo un
amico" rispondiamo, negandoci gentilmente
alle soverchianti offerte.
Arriviamo all'auto e, dalle fila silenziose di sagome, un uomo, fino ad allora scambiato come guardia del corpo in cerca di affari, si identifica come l'altro guidatore oltre a Baba. Capiamo che sono amici, oltre a ciò non molto altro, saliamo su queste macchine fatiscenti e iniziamo a viaggiare lentamente. Non conoscono la strada o così sembra: ogni 10 minuti si fermano e si confrontano animatamente. Un tassista inizia ad inseguirci minacciando lo scontro e suonandoci contro costantemente. Il nostro misterioso autista non dice nulla, guida paziente e la sua testa nera luccica nei colori tenui della notte. Per me seduto nei sedili posteriori diventa punto di riferimento. Mi guardo attorno e, mentre la macchina procede lentamente sull'asfalto, inizia a prendere forma quella che suppongo sia la periferia urbana di Dakar: case su case ammassate le une sulle altre con mattoni a vista, incomplete ed immerse nel buio, figure distinguibili solo dal chiarore lunare.
Alla luce pallida notturna inizia a sostituirsi una luce chiara giallo elettrico e la città diventa più strutturata, edifici più complessi, ma la logica che li àncora ancòra non è certa: è un insieme di costruzioni accomunate da un'esigenza pratica senza ordine preciso, senza punti di riferimento. è una foresta di cemento, giungla di cemento per citare un film americano sulla vita nel Bronx.
Arriviamo all'hotel, i 45 minuti previsti sono diventati 1 ora e 30, salutiamo Baba, lo paghiamo 5000 franchi: "Ciao a presto è stato bello ma sono le 4 di notte bisogna correre a dormire".
Il viaggio con Baba è divertente e un po' esasperante: la sua macchina non è nelle migliori condizioni e lui ha qualche difficoltà con il navigatore che ha impostato in italiano. Noi, a essere sinceri, non capiamo cosa c'è che non va, fatto sta che l'auto non spinge a più di 20 all'ora e dall'Aeroporto Blaise-Diagne attraversiamo una prima Dakar notturna seduti nella macchina guidata da african Tarkovskij: senza fretta. Gli altri nella macchina che funziona si fermano spesso ad aspettarci.
Il volo rimandato ha creato scompiglio un po' a tutti: il traghetto per
andare
in Casamance salta fino al lunedì, dato che nel weekend non fa tratta. Baba è
riuscito a
venirci a prendere lo stesso in aeroporto ma si vede che è stanco. La notte è
tranquilla.
Il mio ricordo di questo viaggio è uno stranissimo miscuglio di sensazioni tra cui un tetro sentore di paura dato dalla situazione: la notte in un luogo sconosciuto, distante da casa, le macchine con l'intero cruscotto non funzionante (ti accorgi di avere un principio di mania del controllo quando in auto non sai né quanto carburante c'è né a che velocità stai andando), il tassista che per via delle manovre ardite del nostro driver ci suonava all'impazzata. Nell'aria però, oltre agli odori africani, c'era un enorme entusiasmo: tutti noi del collettivo ne abbiamo fatto esperienza. Ebbene anche quell'entusiasmo confluiva in un'emozione più complessa, un'emozione che riesco a descrivere solo usando la definizione di Thauma data dal mio professore di filosofia al liceo. Meraviglia e terrore nella stessa definizione, meraviglia e terrore dell'effettiva nostra esistenza in quel momento, in quel luogo e per quel motivo. Come di fronte a un gigantesco salto nel vuoto percorrevamo un'autostrada senegalese, passandoci un Tanqueray edizione limitata comprato al duty free.
Baba e il suo amico misterioso si dissolvono nella notte scura, inchiostro nell'inchiostro e il pennino degli incontri rimescola dentro, una spirale veloce e nera da cui esce il nostro oste: Kebè.
Kebè è un marinaio e ha un figlio nell'Indiana e mi deve 500 franchi: sta seduto sguardo perso nel vuoto, tristissimo, i suoi pensieri vagano nel tempo, le speranze gli amori i viaggi, tutti racchiusi nelle linee del volto. Kebè non è veramente un oste, è il guardiano notturno — le onde si infrangono ripetutamente sulla battigia lì di fronte e lui si lascia trasportare, nostalgia e pirateria in un locale scuro e spoglio dagli infissi lignei — ci dà da bere, sorride caldamente e ci racconta aneddoti, lui parla il linguaggio universale dell'amicizia o dei viaggiatori perduti e ci capiamo tutti.
La Brasserad dove dormiamo è sulla punta di Dakar di fronte all'isoletta di Ngor. Forse è un posto per turisti bianchi e la cosa un po' ci rattrista, perché siamo turisti bianchi. Dobbiamo ammettere che fin dalla prima sera a Dakar ce l'abbiamo avuta con i francesi che incontravamo in giro: ce l'avevamo con i colonialisti o avevamo paura di essere come loro?
Baba ci lascia sull'uscio per essere sicuro che non ci perdiamo. Lì tiriamo un po' scemo Kebè e finiamo il gin del duty free co qualche biretta, con incredibili cocktail Tanqueray-Gazelle. Kebè vende quasi una chitarra a Tiziano. Andiamo a dormire tardi.
Il mattino giunge, affacciato alla finestra scorgo il mare, piroghe e ragazzi neri sulla spiaggia che si allenano e contrattano.
Incontriamo Malamine Tamba,
il ricco, il saggio, il visionario. Malamine è
un uomo, padre di famiglia e lavoratore: vicepresidente della squadra
di calcio
senegalese Casa Sports, presidente dell'Allez Casa, il comitato dei tifosi
della stessa (tu
chiamali se vuoi ultrà) e possessore di terreni agricoli che, in
tutto
questo, riesce a prendersi cura anche di una combriccola di giovani artisti italiani. Ci porta
di qua e di
là a comprare il necessario per il viaggio ospitandoci
a casa sua per il pranzo domenicale, che in Senegal avviene di
sabato, ma l'idea
è quella. La moglie Tabara, elegante e colta, ci intrattiene durante il banchetto
mangiando con noi e
ridendo di gusto, mentre ci sminuzza la carne con le mani dall'enorme piatto unico (che
non è
Dakar) di riso e verdurine piccanti che
ci unisce in
quel momento. Ha un sorriso bianco, rosa e marrone scuro. Le donne senegalesi sono bellissime,
come la
timida figlia di Malamine figura
leggera,
come la zia
di Malamine, donna anziana in un vestito
bianco e sguardo
scuro e infinito nel sapere.
Uomo chiave di questa spedizione africana è Malamine Tamba, nostro mentore e contatto africano
che
ci ha
aiutati nell'organizzazione pratica di tutto il viaggio.
Venne negli anni '90 a
Pavia per
seguire un master in Politiche Internazionali. Arrivava dall'Università di Dakar e il suo villaggio natio è
proprio Coubanao.
Incontrò Mimmo e gli altri compagni dell'odierno Comitato Pavia Asti Senegal e
scattò
l'amicizia.
La storia è storia, ora siamo nel presente, dobbiamo lasciarci alle
spalle
quel che è successo. Suonava circa così — non ricordo perfettamente —
la frase che
ci disse quando ci incontrammo a Dakar. Ricordo bene però il pranzo a casa sua seduti sul
tappeto a
mangiare con le mani dallo stesso piatto riso e carne (o riso e verdure, date le abitudini
alimentari di
certi) in stile senegalese.
Senza posate, sua moglie spezzettava con i polpastrelli le varie carni, le
distribuiva nel
riso e con la destra ognuno prendeva il proprio boccone. Mi viene in mente che
l'infografica del
ristoro generalmente raffigura una forchetta e un coltello: chi ne ha proposto
l'universalità
non ne voleva sapere di tener conto che buona parte di
mondo mangia tradizionalmente con bacchette o mani. Quello che ci siamo
trovati a trattare aveva a che fare col colonialismo in tutto e per tutto, a più
livelli.
I figli di Malamine guardavano Atalanta-Juve in salotto: Kamo aveva le lacrime agli occhi per l'evento, Gambaz le aveva per la quantità di cibo ingerito, io per aver assaggiato il miglio pestato tipico delle colazioni senegalesi, gli altri per la quantità di zucchero nel tè offerto a fine pasto.
Sofia per un esame aveva scelto di portare una ricerca su Gianni Celati e si è recuperata un po' di suoi libri, tra cui Avventure in Africa. Ora, forse questo commento dovrebbe scriverlo lei che ce l'ha a portata di mano, ma in quel libro Celati arriva in un villaggio ad una certa e nel baretto locale c'era in tele una partita di Atalanta Juve, "il peggio che il calcio italiano potesse offrire".
<pre>Sévaré, hotel Debo.
Potrebbe essere una pensioncina della riviera adriatica, stesse camere disadorne, tutto piastrellato paramoderno, stesso standard triste, con la differenza che nel corridoio ci sono cavallette lunghe un dito e mezzo e intorno villaggi di capanne sprofondate nel buio.
Grande dormita per riprendere le forze.
Verso sera nel ristorante quattro uomini guardavano la partita calcistica Milan-Vicenza alla televisione, e sapevano tutto del campionato di calcio italiano. Ne hanno parlato con Jean che è competente anche in questa materia, ed ha persino delle idee sportive avanzate. Poi mostravano sullo schermo la partita Juventus-Atalanta, il peggio che si può vedere in fatto di calcio.
Il pollo in stile thailandese, infame intruglio militare che lo chef tuareg mi ha servito come se mi facesse un favore, ho dovuto far finta di mangiarlo perché il detto chef mi si è seduto accanto e mi teneva d'occhio, mentre guardava la turpe partita di calcio.
Gianni Celati, Avventure in Africa p.42</pre>
Mai parole furono più profetiche ah ah questa cosa è davvero assurda che anche noi quel sabato pome fossimo in casa di Malamine Tamba dopo rimbalzi continui in aeroporto a vedere Atalanta-Juve (rovinosamente sconfitti)
Finito il pranzo a pancia piena, soddisfatti di noi stessi ci avviamo verso l'hotel per l'ultima notte. Il lento cadenzare del taxi nella trafficata Dakar mi culla in un sonno conclusivo. Mi addormento. il tempo passa, allibratori sulla spiaggia mi inducono in cattivi affari. Un bagno fresco e salato mi riporta alla realtà e poco dopo salpiamo verso nuovi lidi. Verso l'enorme laguna di mangrovie: Ziguinchor, la regione della Casamance e l'agognata Coubanao.
Mi viene in mente il porto di Dakar, la sua immensa hall e il secondo piano che a quanto pare solo noi abbiamo avuto l'idea di esplorare, lo spazio coi divanetti e gli acquari pieni di pesci un po' desolati dal vederci ancora rimestare nei progetti e non goderci la vita o l'attesa del traghetto. Sui muri appesi e incorniciati alcuni quadri di una mostra di pittura lasciati a prender polvere.
Salpiamo alle 8 di sera, il bateau Diambogne è una barca traghetto, ricorda quelli utilizzati per arrivare dalla costa sabbiosa francese alle bianche scogliere inglesi, versione più piccola. Gli interni sono simili: falso legno lucido, poltroncine e televisori per mettersi a dormire.
Saliamo e, dopo aver superato i controlli, entriamo nella pancia della nave, spazio riservato ai camion ricolmi di patate e carote ma nessuna macchina privata.
Arrivati sul ponte ci accoglie una situazione divertente: donne e uomini
distesi
su
tappeti ascoltano musica che ricorda il reggaeton: la radice ritmica è quella ma
arricchita da
variazioni su tema di percussioni senegalesi e la melodia delle voci sale verso nord passando
per la distesa
sabbiosa del Mali per arrivare in Marocco. C'è anche chi prega, si inginocchia a
piedi scalzi e
mormora. Nonostante gli interni, simili ai battelli inglesi, l'Africa in questo bateau
è
altamente presente.
Durante questo viaggio notturno spesso incontro gli sguardi degli altri viaggiatori: molte donne, fino a quel punto difficili da incontrare, nei loro vestiti sgargianti scrutano incuriosite e maliziose.
Ci allontaniamo dal golfo di Dakar. Le luci dell'orizzonte della
città
nervosa si sciolgono volando verso il cielo formando puntini bianco gelo. Immagino i marinai di
un tempo
osservare questi consiglieri, orientarsi e arrivare alla meta giusta. Ci provo anche io, ma il
cielo
è diverso, non scorgo le forme a cui sono abituato, non vedo il grande carro, non vedo
nemmeno la
luna, nonostante la tentata ricerca con gli amici: siamo distanti da casa, capiamo, inquieti ma
decisi.
Guarda mondo scuro dove siamo arrivati nonostante tutto.
Siamo in guerra anche noi come i senegalesi, ringrazio Kamo per l'immagine, chiedete a lui spiegazioni.
Stanchi torniamo alle nostre poltrone, dentro la cabina l'aria condizionata e il televisore a palla rendono fastidiosa la permanenza ma è ciò che ci viene offerto. Chiudiamo gli occhi, distesi per lungo sui sedili tra le voci borbottanti e profonde dei viaggiatori addormentati.
Il mattino ha l'oro in bocca, in tutti i sensi. All'ingresso della laguna del Casamance, siamo immersi in una abbagliante fascia dorata, luce solare che si riflette sull'acqua piatta delle 8 di mattina. Un senso di magnificenza e solennità ricopre il nostro bateau e i nostri compagni di traversata. Si scorgono le prime mangrovie e case dei pescatori, piroghe, trappole mortali per pesci sfortunati. Delfini ciechi rincorrono distanti il taglio ondulato e pigro creato dal passaggio dalla nostra barca.
La flora, da presenza distante si avvicina sempre di più al bateau portandolo in fondo, strozzando il fiume. Le baracche dei pescatori diventano più numerose, e con questo incedere glorioso e lento prende forma la città di Ziguinchor: il battello è a destinazione e noi viaggiatori sbarchiamo su un nuovo terreno, più caldo della ventosa Dakar e più vicino al cuore dell'Africa.
Il porto di Ziguinchor è una struttura spoglia, dai muri beige. Le facce nere dei presenti, trovano un contesto accomodante, se non altro per quanto riguarda l'occhio: colori ripetitivi, leggermente monotoni. Ciò che rimescola le carte in gioco e rende vivo lo scenario sono gli abiti lucidi e sgargianti dei presenti, la maggior parte di loro infatti indossa tute da calcio di squadre europee: Paris Saint German blu e rosso, Juventus bianco e nero, Milan rosso e nero. Se fosse una composizione pittorica la intitolerei: "Poliestere su argilla".
Mentre aspettiamo di ricevere i bagagli, compare la figura sorridente e
sorniona
di
Baba Sane.
Baba Sane, ci accompagnerà a Coubanao ed è un amico di Angelo, figura ancora non introdotta ma assolutamente importante. Facciamo un passo indietro (Baba Sane ci perdonerà). Il nostro caro Angelo è un navigato viaggiatore italiano dalla faccia scavata e capelli lunghi, fuma sigarette da giro e ha una rete immensa di contatti qui in Senegal. è membro del CPAS - ONG che si è presa la briga di darci qualche soldo per il viaggio - senza di lui non avremmo saputo muoverci. Grazie Angelo e CPAS.
Torniamo a Baba Sane che, sebbene quel giorno fosse sprovvisto di maglietta in poliestere, ha passato una vita nello sport del pallone e di calcio è un esperto. Lui è membro dei giocatori anziani del Casa Sports, molto amico del grande Malamine Tamba, ride di gusto e grazie a dio parla italiano: finalmente possiamo esprimerci come vogliamo. Sarà per la facilità nella comunicazione o per lo spirito giocoso di Baba Sane, ma subito sembriamo amici, già in programma una giornata di pesca sul fiume, che mai si farà.
Prendiamo i bagagli, li portiamo fuori uscendo dalla calma silenziosa della sala d'attesa del piccolo porto. All'uscita veniamo inondati da un raggio di sole prepotente e soffocante e una miriade di persone ci si pone davanti, fervente e indaffarata. Ci prendono le valigie, le portano ad un furgone, le caricano sul tetto del veicolo velocemente. Baba sane dirige tutto ciò, dà indicazioni e mancette ai garzoni e ci tiene tranquilli, direttore d'orchestra del caos umano di questo porto senegalese. Complimenti a lui ma del resto ci è nato e cresciuto, conosce tutto nel minimo dettaglio.
Insieme a lui c'è Caramba, caramba che sorpresa, ocio ai caramba, eccetera, un nome come un altro in questo Paese simpatico e distante. Partiamo: noi un * salta, Caramba, Baba Sane e un guidatore non identificato che se lo guardi in faccia sembra scorgere un bronzeo busto di matrice fascista, le linee del volto sono dure e decise e la pelle scura luccica.
Ci avviamo lungo le strade di Ziguinchor, città che risente del periodo coloniale, qua e là ci sono villette francesi spesso abbandonate e tra di esse compaiono, vere protagoniste, botteghe di cianfrusaglie: cinture, ferramenta, vestiti, televisori. Ci rendiamo conto che è meglio non fare foto, ti urlano dietro: "Non siamo animali in gabbia e voi bianchi visitatori di uno zoo". Come ti pare amico, se ho una macchina fotografica con me faccio foto indipendentemente dal posto.
Mi è ricapitata poi la
stessa cosa al mercato quando ho scattato una delle foto in mezzo a quel
vortice di
foulard: una ragazza passando si è avvicinata e ha sibilato: ti ho visto! Carica di astio
e con occhi
truci.
Studenti tornano da scuola, indossano polo azzurre anice. Cerco di fare qualche foto ad alcune studentesse, ma memore delle urla non produco altro che scatti maldestri. Il sole batte forte, facciamo due compere e preleviamo dell'argent. Dentro di me sento una crescente tensione positiva, probabilmente condivisa dai miei compagni di viaggio: siamo ancora più vicini alla meta. Nella mia testa prende piede l'immagine di un viaggio mistico tra mitra, violenza, charlie in agguato in un contorno esotico, alberi di mango, tigri, umidità pesante, malaria, follia, e una meta mitica, fatta di sangue, indigeni mutilati e rovine nell'edera capeggiata da un folle saggio militare in fuga, mr Kurtz: Apocalypse now! Ma fortunatamente, il film è un altro, non siamo soldati in Cambogia e la nostra meta non è un tempio in rovina memore dell'impero Angkor. La nostra meta è Coubanao, nella regione della Casamance, il giardino del re.
La strada si inerpica nella foresta di palme e fromager, baobab, manghi, e infiniti alberi: è una via sterrata e sabbiosa, dal colore rossiccio. Ai bordi di questa ci sono case spoglie e gente seduta all'aperto, immagini sfuggenti nello sfrecciare del nostro furgone. A momenti di fitta foresta, con incedere alternato e ritmico, incontriamo squarci aperti di luce e distese lagunari secche che odorano di sale. Mucche dalle corna lunghe e acuminate ci osservano passare e capre e faraone, animali santi e ornamentali, si scostano pigramente dalla strada. Apri e chiudi, luce e ombra, superiamo il villaggio di Koubalan e poi di Finntiok e infine Coubanao.
Tutto in quel luogo è volto nell'interesse della comunità, il villaggio stesso è comunitario. Le proprietà sono divise per famiglie, ma non esistono porte, non esistono strade, tutto è collegato da fiumi di sabbia che entrano e si insinuano ovunque: il villaggio stesso è mobile. Le nostre guide ci raccontarono di come fosse stato spostato e modificato nel tempo per evitare animali notturni e si potevano scorgere i nuovi luoghi destinati a nuove case.
Gli animali d'allevamento corrono per il villaggio totalmente liberi, come i limoni che crescono in luoghi pubblici o gli alberi di mango che sono ovunque e appartengo a tutti e l'unica difesa contro le mani golose dei bambini è la certezza che se ne rubano qualcuno sicuro per loro ci sarà un prurito fastidioso per giorni.
Eccoci qui!
Ricevuti dai nostri ospiti, ci sediamo e mangiamo
insieme.
L'accattivante miscuglio di antimalarica con l'acqua corrente — pista da ballo di batteri sconosciuti ai nostri corpicini — mi ha dato una bella botta per i primi tempi: di notte avevo visioni e vivevo incubi eccezionali. è successo anche di urlare nel sonno e di svegliare Erica che mi ha tirato due sberle se no crepavo per un colpo al cuore. Oltre a questi potevo rischiare tranquillamente di crepare di diabete: a colazione si giocava alla roulette russa, dove per ogni morso dato al panino spalmato di marmellate gusto mango o bissap si rischiava un picco glicemico ☞ coma
Ogni giorno, la tavola della colazione era perfettamente
imbandita.[dm]
Con una cura maniacale ogni posto a tavola era apparecchiato di:
Quindi poi le star erano:
Quest'ultimo era il chaotic evil della tavola, la regina negli scacchi, la mano invisibile. Ti poteva distruggere l'appetito di un giorno intero se ti capitava un bel pezzo di grasso idrogenato solidificato: iniziava choco ed era subito pain.
Quando il tavolo di battaglia era consumato si scattava su → si prendevano i compiuter → si correva verso la scuola oppure si ritornava al tavolo a progettare speculare programmare disegnare.
Che stanchezza.
Il mio nome a primo impatto diresti che significa tipo ricco di fede per ovvi motivi legati ad una semplice scomposizione della parola che il cervello fa senza nemmeno volerlo,
ma cercando scopri che Federico significa prima di tutto ricco di pace quindi, ricco lo dovrei essere ma è da discutere di cosa. Ciò di cui non ero proprio ricco durante le magiche settimane senegalesi era la forza e uno si può anche chiedere quale tipo di forza ma io rispondo sia forza d'animo che forza fisica.
Ero un po' una pezza, un ovetto che pian piano si stava cuocendo sotto al sole a cui non siamo abituati. La fatica d'animo è quella fatica che la mia coscienza vuole elaborare, quella coscienza che si vuole fare visualizzazione del complesso, il complesso che pare un'orchestra violenta che rappresenta una scala gerarchica silenziosa ma che esiste. E mentre cercavo di stare in piedi il giorno del mio compleanno, mentre parlavo al telefono con la nonna e gli altri erano dentro all'aula di informatica, respiravo una strana giornata, nuvolosa strana. Non voleva piovere anche se sembrava, ed infatti non ha piovuto. Quel tempo mentiva, ma non avevo intenzione di sapere il parere dell'app meteo del cellulare.
Non avevamo pranzato, dovevamo rimanere tutto il giorno a scuola. La colazione non era stata la solita marmellata iperzuccherica, ma a sorpresa (almeno per me) la colazione tipica: il miglio dolce pestato.
Effettivamente la roulette alla marmellata dava una bella botta di energia, ma il problema erano gli altri pasti che, parlo a nome mio e dell'altro erbivoro, alla lunga, diventarono monotoni. La costante: le cipolle. Amavo quelle cipolle: quando andai in Senegal con il CPAS non ne mangiai abbastanza ed al ritorno con un * salta fui estremamente felice quando al primo pranzo ce ne portarono un bel gran immenso piatto.
SBAM servite per tre settimane a quasi tutti i pranzi e tutte le cene!
Dico quasi tutti i pranzi perché qualche volta disertavamo il campement.
Ok c'è da ammettere che non c'erano solo le cipolle ma anche delle buonissime patatine fritte - e quando dico buonissime erano veramente buonissime non tipo le persone che dicono buone tipo quelle del McMerda ma buonissime tipo buone come quelle della mia nonna. Mettiamola così: una volta sono stato molto in ospedale e i biscotti che ci davano a merenda erano buonissimi. Quando sono tornato a casa li ho ricomprati e bo non sembravano più così incredibilmente buoni... Mi viene da pensare che fosse il regime alimentare a condirli e a Koubanao stessa cosa (no hate per le patatine molli erano ok anzi un prezioso sollievo) (anche se forse più che buone la loro caratteristica principale era l'essere molli) (anzi molto interessante cerchiamo di capire: come mai erano xe molli ste batatine?)
sì, cucina molto monotona anche per i non erbivori. Sembrava ci fosse una censura dei loro prodotti tipici e piatti per noi fragili occidentali. Detto ciò quello che mi è parso di cogliere in linea generale è che anche nella cucina canonica senegalese non ci sia questa grande varietà, il cibo è funzionale a dare energie, botte di zucchero e calorie per non svenire sotto il sole, non si consuma per il piacere di consumare e sicuramente nella Casamance non ci sono programmi come Masterchef e il cibo e gli animali sono rispettati per quello che sono, parte della vita e non il centro di espressione dei propri sfoghi.
C'è una persona addetta alla cucina nel campement ma durante il nostro soggiorno era altrove: è una ragazza che ha da poco finito il lycée e il villaggio le sta pagando gli studi a Ziguinchor per diventare cuoca. Non sono poche infatti le persone che transitano da quei piccoli bungalow al confine del paese: sia gente della zona che è in viaggio, sia turisti e stranieri come noi. Sono entrate che fanno comodo e la comunità ci investe. Diverse persone collaborano: chi come guardiano, chi come cameriere, chi come addetto alle provviste ecc e ognuno si dedica al proprio compito in forma religiosa: l'apparecchiare e il servire i pasti ad esempio era sempre un momento delineato con una precisione e ritualità super HD, dai modi rigidi, assurdi e codificati dell'etichetta e bon ton occidentale, ma compiuti con un tale impegno e presenza che li rendeva autentici.
Mi piace ricordare anche il mood de Malamine Diémé il
giorno in cui
sono arrivati dal Governo (o dalla regione?) (non mi ricordo!) (ma non è importante chi
li stesse
mandando, l'importante è che erano arrivati!!) tutta una serie di elettrodomestici,
utensili,
arredi e props per il campement: un enorme frigo e il secondo freezer, la televisione, la
lavatrice, la
batteria di pentole, la cucina e altre cose inscatolate che non abbiamo riconosciuto e che ora
occupavano
tutta la veranda che avevamo abitato noi in quelle settimane. Una processione di cose caricate
su una
processione de auto capitanate appunto
dal
Sig.
Diémé: radioso, che
sventolava alto e in festa dal finestrino della prima jeep del corteo.
"Dobbiamo festeggiare, ci avete portato
fortuna,
aspettavamo da tanto!"
Così diceva e mi stringeva le mani.
E niente, le patatine erano molli.
L'Africa ha un altro ritmo rispetto a noi e il rito della cucina iniziava presto: per la cena ad esempio nel primo pomeriggio e durava tanto. Tanto tempo a schiacciare nel mortaio le cipolle, tanto tempo a rosolare e cuocere i pesci o la carne, tanto tempo e basta tra una cosa e l'altra, con processi distesi e a passo lungo. Quasi intimi, non certo la frenesia delle cucine dei ristoranti.
Probabilmente le pata venivano preparate alle quattro del pomeriggio, tutto qua, tra una cosa e l'altra e senza una particolare intenzione o cultura della patatina fritta. Forse era una necessità di stoviglie o forse la forma sbagliata di quelle patate: che ce le faceva vedere come fritte quando erano semplici patate surgelate. Le due cuoche mi piacevano: una era vecchia e ci salutava sempre quando arrivava bonjuuur e quando andava via bonnuuuit, era diventato un meme tra noi e lei; l'altra giovane splendida ma con lo sguardo affilato e duro. Con noi non ha mai abbassato la guardia al 100% tranne la sera del ballo delle maschere, quando col gruppo delle donne suonava come piatti i coperchi delle pentole in festa. La sua bambina era molto piccola e timida e faceva ridere soprattutto una volta inseguita dalle poie.
Il pasto medio senegalese si compone di un cereale + carne.
Questo pattern culinario è ripetuto praticamente ogni giorno e si può dedurre che il contenuto varia dal periodo dell'anno: durante la nostra permanenza le verdure, per esempio, cominciavano a scarseggiare. I legumi ci sono e vengono coltivati in massa, ma la porzione di pesce o carne è più sostanziosa e il concetto di vegetariano non è praticato, sebbene sia un concetto abbastanza chiaro ai più. Il binomio di base cereale e carne rimane tale da tempo poiché è la base di un pasto equilibrato per il popolo dell'area senegalese e in più non c'è un'importazione di beni culinari: la globalizzazione è ancora vagamente in progress. è abbastanza scontato, ma la pizza il sabato sera non esiste, nemmeno il wok quando si è in chimica o l'all you can eat o il curry indiano. Ma ciò che esiste è un network che respira, un mostro che lega gli odori di tutti i cibi che pensi quando apri l'app di UberEats e che manda gli ordini ai riders che spesso vengono anche da questa parte d'Africa. Il rider numero 28817 che ti porta a casa la pizza che sua madre non ha mai pensato. Gli dai la mancia?
Per tre settimane abbiamo iniziato la giornata con una imitazione della colazione dei coloni, eccetto per una. Forse la vedo così violenta come immagine perché ho in testa il dover vivere un posto nel modo più autentico possibile, cosciente del passato dell'Europa colonialista. Ma forse per un senegalese non è necessario, o forse un senegalese pensa che preferiamo la cucina simile alla nostra e quindi una cascata di imitazioni prendono il sopravvento
Proprio così, siamo solo noi occidentali con i sensi di colpa che cerchiamo costantemente una riprova di autenticità. Non siamo più i capi del mondo. L'implicito è egoistico: voglio autenticità per ritrovare quello che vi ho tolto; e allo stesso tempo: mi trattate da occidentale ci deve essere qualcosa che mi nascondete. Poi in realtà tutto è perché gli occidentali pagano e non vogliono che abbiano problemi di pancia e se ne vadano incavolati e addio Argent. Siamo delle Vacche Da Mungere di alto rango.
Durante la cena di raccolta fondi a casa di Sofia, qualche settimana prima della partenza per Dakar, avevamo provato a fare un piatto senegalese con patate e patate dolci. Per quanto non abbia mai assaggiato l'originale, sono certo che il nostro tentativo non ci si avvicinasse minimamente.
La domanda che mi viene spontanea è se fosse ok o no. La risposta che mi viene è: fin quando è una ospitalità culinaria, perché no? Alla fine Malamine del campament ci dice che non ci preparavano le pietanze che mangiavano loro perché troppo speziate ma anche perché sapevano dei nostri stomaci sensibili ai nuovi batteri, il che portava ad un depennamento automatico di molti alimenti.
Da metà avventura abbiamo chiesto le uova a colazione, per frenare un po' gli zuccheri delle marmellate e integrare proteine. Dopo anni che non mangiavo un uovo ho mangiato con gusto la frittata a colazione, unta e fatta con uova dalle galline con cui condividevamo la sabbia del campement. L'allevamento intensivo a Coubanao non esiste, e mi chiedo anche se il ragazzino dello siop, per esempio, possa immaginare quelle fabbriche dove gli animali sono trattati come esseri inorganici. Penso che le mie scelte alimentari si possano iscrivere in un determinato lasso di tempo e soprattutto di spazio, si adattano e cercano di comprendere il momento preciso che si abita.
E allora quelle uova non mi fanno sentire male e ora, a ripensarci, sì, ho mangiato un uovo di una gallina Senegalese, che a me fa un po' senso comunque anche io durante il viaggio mi sono scostato dal passo vegetariano, assaggiando a volte il pesce o la carne e pure la scimmia (che sa di vecchio in fila alle poste per ritirare la pensione). Come ha scritto sopra Poni molto era dovuto all'ospitalità culinaria, un po' alla monotonia degli ingredienti e soprattutto all'ottica di una diversa ecologia del cibo: meno Esselunga e più cortile, orto o risaia dell'anno prima. è un po' diverso dal lusso di qua, un'essenzialità che già implica un certo tipo di dieta ok.
Una mattina siamo andati a pescare in piroga (le
piroghe di solito si ricavano dai fromager: alberi eleganti con il tronco che
pare un
drappeggio, un insieme di membrane, ricco di insenature e linee curve e ascendenti, radici come
tentacoli e
corteccia di pelle di rinoceronte) risalendo attraverso
il groviglio
di canali delle risaie fino al fiume Casamance. Erica saltò la gita: in lei febbre e
malesseri
multiformi; la pensavo e pensavo a tutte le sfortune che potevano derivare. La classica
barzelletta del
ragazzo che va in Africa e si becca la malaria: più risate che effettive paure - ma avevo
la testa in
due posti diversi, con lei al campement e con Aliou e gli altri 1saltini in
piroga.
La luce era fondamentalmente diversa, il sole si propagava differentemente
con
l'afa generata dal fiume e offriva una perenne visione onirica: i ruoli in quel momento
prendevano una
forma narrativa, nell'aria c'era una intesa stile Indiana Jones, come se da un
momento
all'altro potesse succedere qualcosa, ma ognuno continuava a svolgere il proprio compito
drammaturgico.
Non c'era nessuno a parte pennuti simpatici che si muovono in branco ed evidentemente pesci sotto di noi. Percepivo una tensione che mi inventavo. Stavo vivendo un momento di finzione che ha raggiunto il climax quando ci siamo fermati allo sbocco del canale che finalmente dava al Casamance.
Aliou è un ragazzone che se vuole ti tira una sberla e ti fa fare un
doppio
carpiato in aria, ma lo percepisci dal suo sorriso perenne che non farebbe male nemmeno ad un
tafano. Ha
portato le canne da pesca (bastoni) ma rimane l'incognita delle esche. Quel momento era un
punto teso
tra intrattenimento turistico e la spesa. In ogni caso, non avrei mangiato il pesce che avremmo
pescato per
varie ragioni che sono già emerse. In più l'odore del pesce mi fa svenire.
Poni ti lamenti sempre bastaaaaaa
Cordialmente,
vaffanculo Nel
cretto della riva ci sono delle buche. Il ragazzone si
avvicina e
carponi comincia a scavarci dentro: sono le tane dei granchi ☞ le nostre
esche.
Ne prendiamo tanti, forse tutti, palesemente più del dovuto. Finita la prima pratica Aliou prende un sasso e apre in due uno di loro così da prendere un pezzo di polpa fresca.
Ci prepara le canne (bastoni + filo), ci sediamo sulla barca e lanciamo l'amo verso l'acqua: il bottino in totale è n. 3 granchi e n. 2 pesci. La pesca miracolosa. Preciso che la pesca povera non è dovuta all'incapacità dei pescatori ma all'insieme di un saltini scettici che parlavano a voce alta intorno alla barca facendo scappare tutte le prede.
Granchi che abboccano grazie a carne di granchio, un loop che mi fa pensare a quanto la natura sia grottesca.
Torniamo con la melma paludosa sulle gambe e sulle braccia come quando i veterinari fanno nascere i vitel e devono tirarli fuori dalla mucca con le loro mani, agguantandoli con fermezza dalle zampe, e su tutto il resto del corpo perché sono 1 cretino che si diverte nella palcia, facciamo un tratto sulla strada che porta dalla risaia al campement e dei ragazzi ci guardano. Non so decodificare quegli sguardi. A cena gli 1saltini mangiano polpette fatte da quel bottino, io sto sulle patatine molli + cipolle. A Pavia non andrei a pescare mai e poi mai. Quella avventura è stata solo un'avventura perché eravamo dei turisti o stavamo partecipando all'ecosistema di Koubanao?
Queste complesse dinamiche sono una ipercipolla, a strati non solo concentrici ma allo stesso tempo perpendicolari e incastrati. Pesta la ipercipolla al mortaio e vedrai queste molteplici realtà che coabitano questo ecosistema .
Cuoci il composto e grosse fatigue.
Come già detto ero già stato a Coubanao, ma la mia indole da
artista
entusiasta fece calare una patina magica su qualsiasi cosa avessi vissuto due anni prima non
rendendomi
conto di tante dinamiche o, se non altro, vedendole in modo differente.
Sempre per mia indole non riesco a vivere un
viaggio come
semplice turista. In genere
il turista
sporca,
l'ospite lascia un segno, e lasciare un
segno è
una fissazione che per noi ora é una priorità. Non volendo essere un semplice
turista non
vorrei nemmeno risultare un semplice turista: ricordo con amarezza quando, a Coubanao, non
ci
proponevano le prelibatezze senegalesi
DOC. Non volevamo farci portare il tè al tavolo dentro la sala comune del campement:
volevamo
berlo con tutti sotto l'albero di manghi.
Poi
fortuna che ce lo portavano ugualmente, perché stavamo ore attorno a quel tavolo a
strizzarci le meningi sul da farsi del giorno
dopo.
Eravamo turisti alla fin fine?
Vivere di turismo. fotorealistico ma imbalsamato: il turista non deve congelare il villaggio nella sua immagine. L'ospite e l'abitante sono concentrati di vita che generano vita che genera realtà. Dal turista nemico all'ospite alleato.
Eravamo ospiti?
è successa una disgrazia gli ultimi giorni che eravamo a Koubanao. Un ragazzo del villaggio ha perso la vita in un incidente stradale. Il lutto lì è una condizione condivisa e partecipata tra tutti. Potrebbe essere facile ricondurre la cosa alle modeste dimensioni del villaggio, ma sarebbe riduttivo e superficiale. Questa dimensione collettiva della morte forse è il naturale riflesso di una dimensione collettiva anche della vita: una vita di cortile e di strada, una vita di tappeto, di risaia e di albero, di campo da basket o di tè e basta.
A questa collettività ha partecipato anche un * salta: la performance che avevamo organizzato per concludere il viaggio non sembrava più tanto appropriata in luce alla tragedia. I nostri amici del campement ci hanno consigliato di far visita alla famiglia del ragazzo, sia per essere vicini alle persone di Coubanao sia per sondare l'aria e capire con rispetto come era opportuno comportarsi.
Erano i nostri ultimi due giorni e tutto quanto il meccanismo della fine si era attivato. In quei momento stavo sviluppando le patch e il sito per far funzionare la performance. Per finire in tempo sono stato l'unico a non andare al funerale e son rimasto un po' solo nel campement tutta la mattina di sabato nel clima e nella luce dei giorni dell'after. Ho parlato con la mamma al telefono per dire che tornavamo e ho finito il sito. Poi sono stato seduto sul letto a disegnare.
Si sentiva un muggire che era sempre più insistente, sempre più forte e sempre più vicino. Era un muggire spazientito e pieno di sbuffi o sospiri. La cosa non era tanto strana in realtà perché parte integrante del villaggio di Coubanao era la sua fauna da cortile, con come cortile il villaggio. Per cui poie e faraone grasse e caprette nane e mucche col septum e maiali pelosi scorrazzavano per le strade e per le abitazioni senza troppe cerimonie.
Poi nel cortile del campement rotola e corre un toro che urla e capisco che a muggire era lui e dietro perché è scappato lo insegue un bimbo che arriva dopo ma si sente prima perché urla e frusta il bastone che ha in mano e quel pezzo di corda che l'animale ha sapientemente snodato oppure solo per fortuna ha sciolto in un momento distratto mentre tutti erano al funerale o mentre tutti non lo guardavano. Tirano un sacco di polvere dalla sabbia e li guardo passare e resto con loro i tre secondi che ci mettono a tagliare da una parte all'altra, poi il climax finisce e tutta la stanchezza vietata risale per cui non faccio più niente e aspetto che tornino i miei amici.
Tiziano Pastor, Federico Poni ed io facevamo ogni tanto le corsette che consistevano nell'andare dal campement (inizio del villaggio) alla scuola (½ del villaggio) e poi tornar indrio. Oppure dal campement verso la parte opposta, a ritroso verso Ziguinchor (sempre per poco perché siamo dei veci) 1 volta abbiamo provato a fare il villaggio dall'inizio alla fine e ritorno ma siamo scoppiati. Che molli. Però la corsetta è bella. Gli africani sorridevano sornioni perché siamo fragili.
corsetta modalità lunga (andata e ritorno)
campemantscuola zona est
scala: | 100m | durata: 20' |
corsetta verso Finntiok (andata e ritorno) risaiecampemant
finttiok scala: | 100m | durata: 15' |
Per allontanarci dalla forma standard del turista abbiamo cercato di sviluppare un modo di visitare attivo e inerente al nostro progetto, un po' come quando a casa dei suoceri aiuti a sistemare la tavola. L'idea iniziale era quella di realizzare un documentario: ci eravamo proposti un viaggio di scoperta verso la fisicità di internet, per trovare le sue origini, capire il suo funzionamento, e indagare come questo strumento globale potesse manifestarsi in diverse forme a livello locale.
La modalità scelta per lo sviluppo del progetto aveva in sé la ricerca di un contatto privo di gerarchie o ruoli predefiniti. Noi collettivo saremmo stati esclusivamente dei facilitatori del progetto, il quale, una volta iniziato, avrebbe preso vita autonomamente con il coinvolgimento attivo dei partecipanti.
Il nostro intento primario, infatti, era quello di catturare impressioni
e
azioni il più possibile prive da condizionamenti esterni e, da esse, far scaturire una
relazione
virtuosa tra noi, i ragazzi senegalesi e il progetto, che era la materia viva di congiunzione
dei nostri
mondi.
Proprio per questo i laboratori si muovevano su un piano per la maggior parte ludico e creativo: osservarci, osservare e creare insieme da pari, noi e loro abitanti dello stesso planetary village.
Questo presupposto che in linea puramente teorica suona bene, risentiva però di una debolezza pratica: forse prodotto di una buona fede ingenua, speranzosa di evitare qualunque possibile errore di interpretazione che avrebbe fatto di noi i colonizzatori occidentali, artisti in cerca di conferme in luoghi sconosciuti quindi privi di giudizio.
Ciò che non avevamo considerato, infatti, era la realtà a cui saremmo andati incontro: l'errore è stato quello di non aver compreso fin da subito l'enorme diversità che separa i nostri mondi. Avevamo una proiezione virtuale di come sarebbe stata la relazione con loro, basata su qualche ricordo di Poni e qualche suggerimento da parte del Comitato Pavia Asti Senegal, ma poco più. Quindi senza girarci tanto attorno avevamo fatto i conti senza l'oste e questo detto è quanto mai pertinente considerando quelle che sono state le dinamiche che ci hanno portato al risultato finale.
In realtà non è che avessimo fatto i conti senza l'oste, abbiamo sempre detto che ci saremmo schiariti le idee solo una volta arrivati sul posto e abbiamo discusso a lungo sul trovare un'idea forte che fosse poi adattabile alla situazione che ci sarebbe stata lì. Solo che immaginare il diverso non è semplice ed effettivamente non ne siamo stati in grado, lo shock e la distanza si sono rivelati molto più potenti del previsto.
Se c'è una caratteristica di un * salta che emerge di continuo nelle nostre narrazioni è sicuramente la capacità di essere malleabili e quindi di adattarsi agli imprevisti, alle differenti condizioni e agli inquilini dei contesti che affrontiamo. Mi piace rispondere a chi chiede del collettivo che facciamo cose con le persone, e questo suscita una lista infinita di curiosità che mi offre spazio di azione-logorroica-campari-fuelled.
Non so se è una cosa comune, ma quando ci siamo avvicinati all'idea di documentario una delle fissazioni era: come possiamo riportare una realtà senza modificarla? Come possiamo essere autori invisibili che non interferiscano con ciò che stiamo presentando? Anche con il progetto per Coubanao, all'inizio, sentivo molto nel gruppo questa necessità: quella di arrivare in un luogo come i RIS, bardati in tuta bianca immacolata per non contaminare le prove. Penso che questo chiodo derivasse dalla paura che si infiltrasse nel lavoro una forma di colonialismo culturale. A Coubanao abbiamo realizzato che effettivamente non esiste un punto esterno e privilegiato da cui guardare il mondo. Essendo per forza invischiati su più livelli e profondità con tutte le catene di causa ed effetto diventa ingenuo provare a tagliarsene fuori.
Una volta presentato il progetto al direttivo composto da preside, vicepreside, qualche insegnante e anziani del villaggio, ma soprattutto una volta presentato e esposto il programma agli studenti, ci è stato chiaro che avremmo dovuto stravolgere tutto.
Dal momento che abbiamo messo piede a Koubanao si era creata questa sorta di aspettativa vibrante. Sembrava che gli abitanti del villaggio si aspettassero da noi qualcosa, come se il nostro arrivo avesse definito un cambiamento in meglio per le loro vite e per lo sviluppo della loro comunità. Fondamentalmente, e ben presto lo capimmo, ci consideravano alla stregua di una associazione di beneficenza, come medici che somministrano vaccini, come ONG che costruiscono infrastrutture. Ecco, noi avremmo portato Internet nel villaggio e nel liceo, noi gli avremmo insegnato e li avremmo dotati della strumentazione necessaria.
Cercammo comunque di sottoporre le linee generali del nostro progetto.
Ricordo, chiusi nella stanza del preside, che un professore al nostro dire di voler mettere in discussione la forma di internet per ricavarne qualcosa di artistico, sbottó: "Come si può ottenere qualcosa di artistico da uno schermo e un computer?"
Si capisce l'impossibilità di unire due cose percepite in modo
totalmente diverso: internet e arte insieme sono proiezioni virtuali del lulum, uomo bianco; a noi, abitanti di Coubanao,
"Insegnateci a fare siti con cui poter vendere il nostro riso e le nostre arachidi, dateci
l'indipendenza economica poi si potrà parlare di arte + internet". Questo ci
è
stato chiesto durante la presentazione del lavoro.
Presentazione svolta con interventi in inglese tradotti a una classe formata da alunni selezionati prima del nostro arrivo: data la generalità e il grado di astrazione con cui avevamo proposto via mail il progetto non riesco ad immaginare con che criteri siano stati scelti i partecipanti alla presentazione, e nemmeno con quali poi, per necessità logistico-infrastrutturali, alcuni siano stati esclusi. Secondo me hanno preso i più promettenti dalle classi più grandi.
Di sicuro però questo primo contatto ha cambiato totalmente l'andamento del progetto: infatti le principali domande dei professori, in aperto conflitto con la natura inizialmente astratta e speculativa della nostra proposta, riflettevano quelle necessità puramente pratiche che il villaggio aveva e che non avevamo previsto di dover soddisfare. In questa occasione ci è stato chiesto di aiutare a dare gli strumenti per costruire una pagina online del liceo, cosa che allora ci pareva al di fuori dei nostri obiettivi di ricerca, e che più avanti si sarebbe rivelata ostica anche per le infrastrutture disponibili.
Le domande dei ragazzi invece vertevano piuttosto sulla natura delle nostre lezioni, e sulla natura del nostro modo di insegnare, riguardo al contenuto almeno in questa fase sembravano piuttosto imparziali. Mi ricordo Amina, forse? Ricordavo fosse stata Khadij, mi riferivo proprio a quell'episodio, che chiese: ma se ci fosse qualcuno che non capirà, siete disposti a ripetere? Questa cosa mi aveva colpito e incuriosito sulle modalità cui sono abituati a lezione. La cosa chiara era che sarebbe stato molto difficile introdurre, nel corso del progetto, un discorso così astratto come ce lo eravamo prefigurato. Nel tempo, si sarebbero fatte sempre più chiare le forti differenze di utilizzo di internet e le necessità pratiche primarie, che i docenti avevano così caldamente evidenziato in questo primo incontro. Il nostro approccio si è quindi adattato alla situazione, non abbandonando le speculazioni teoriche, che più avanti si sarebbero rivelate percorribili anche nella pratica.
Ricordo l'atmosfera all'interno della stanza con tutti gli studenti, quel silenzio colmo di aspettative e Sofia che cercava di spiegare il progetto, le facce sorridenti dei ragazzi della serie "ci state simpatici ma cosa state dicendo?". Un gesso sulla lavagna che stride, fino al momento in cui un ragazzo più cresciuto degli altri alza la mano si presenta e dice "ho sentito che tra di voi ci sono dei musicisti e io sono il rapper di Coubanao, quando volete suoniamo un po". Frase, questa, che detta in quel momento in quel modo ha distrutto le mie aspettative sul progetto da un lato ma che al tempo stesso mi ha dato la forza della rassegnazione, "ormai siamo qui cerchiamo di fare il meglio che possiamo". Epifania rassegnata che ci ha convinti a dargliela vinta momentaneamente. Da quel giorno sarebbe stato adattamento alle loro necessità, senza però escludere il nostro messaggio: fortunatamente abbiamo imparato in fretta.
Alla ricerca di una via terza che ci potesse permettere di indagare facendo abbiamo quindi affiancato a momenti di libero dialogo, supportati dall'utilizzo creativo dei proiettori e del materiale tipo rotoli di carta e pennarelli recuperati tra Dakar e Zuiginchor, momenti laboratoriali in cui introducendo le basi del linguaggio HTML. Le lezioni svolte infatti potevano dirsi di tipo tradizionale o frontale. I contenuti proposti però non erano scelti per il solo scopo di trasmettere nozioni (es: sui cavi sottomarini dell'infrastruttura di internet) quanto per portare a galla l'immaginario di questi ragazzi riguardo l'argomento e se possibile stimolare un qual certo interesse nell'infinito ventaglio di possibilità che il mezzo offre.
Questa operazione ci ha dato il modo di studiare i nostri interlocutori e mano a mano adattare le tematiche, discussioni e attività come oculisti che cercano nuova gradazione di miopia, astigmatismo con quegli occhiali steampunk nei quali puoi inserire le varie lenti e regolarle.
Se il lato teorico tecnico programmatico del nuovo indirizzo sembrava essersi ben adattato ai nostri obiettivi e alle richieste espresse, la realizzazione pratica avrebbe trovato alcuni impedimenti lungo la strada. A uno sguardo superficiale l'aula di informatica poteva sembrare ben dotata (considerata la parte di mondo dove ci trovavamo), ma durante un'ispezione approfondita il giorno prima dell'inizio dei laboratori ci è voluto poco per capire che non solo gran parte dei computer non funzionavano, ma che anche per quelli funzionanti sarebbe stato impossibile avere una connessione a internet.
Significativa la performance di Paco Dieme, insegnante di informatica della scuola, che apre un computer, estrae le due barre di RAM e comincia ad sfregarle tra loro per far volare via i granelli di polvere; un gesto guerrigliero, un generale che dà del filo da torcere al nemico che invade la sua terra, il macellaio che affila i suoi strumenti di lavoro per offrire al cliente il miglior taglio sbalordendo sé stesso: rimette la RAM al suo posto e il computer si accende. Paco 1 - sabbia 0.
La performance di Paco con le RAM dei computer era pietosa e
tragicomica ma
come si poteva evitare? A stento solo l'ambulatorio di Koubanao aveva i vetri alle
finestre.
La
sua è una soluzione pragmatica a un problema sia tecnico sia culturale.
Dai file presenti poi nei computer ci siamo resi conto dell'effettivo utilizzo che ne si faceva a lezione con Paco: suite di Office come unico macro argomento, un utilizzo basico e in generale poco frequente. La lavagna, ogni volta che tornavamo, pareva un piano tattico dell'intelligence senegalese, ma in realtà erano spiegazioni del sistema binario.
Questi dati sono fondamentali se si vuole capire la virata del progetto: si poteva speculare da casa anche all'infinito ma, senza conoscere il reale rapporto di questi ragazzi con i computer e più in generale con internet, non si sarebbe mai arrivati ad un progetto definito.
Rapporto che, a posteriori, mi spiego confrontandolo con quello che le diverse generazioni hanno da noi con il fax: per la mia generazione il fax è un aggeggio vetusto, inutile e rumoroso, ed io in primis non avrei manualità con tale hardware. Mentre ne ho chiaramente con l'utilizzo delle email. Per qualcuno di più vecchio invece il fax può essere stato una componente hardware fondamentale, con cui ha lavorato tutti i giorni, e a cui si è affiancato il metodo email con il tempo. A Coubanao si avvertiva lo stesso scenario, con la differenza nel fatto che l'hardware in questione era il computer, soppiantato — non affiancato, per ragioni economiche e non del tutto di avanzamento tecnologico, dallo smartphone.
"Nearly three quarters of the world will use just their smartphones to access the internet by 2025" [13]
La domanda allora diventa: come si accede a internet attraverso lo smartphone? La mia risposta di occidentale che considera lo smartphone una escrescenza del computer è: vi si accede in modo limitato. Forse limitato dal punto di vista della nostra generazione, che ha vissuto a cavallo tra il diffondersi dei PC e quello degli smartphone. Credo che i giovani d'oggi non percepiscano lo smartphone come qualcosa di limitato rispetto al computer, vuoi per la nostra incredibile capacità di adattarci alle cose nuove che creiamo, vuoi per la progressiva implementazione di funzionalitá di ogni tipo anche sui dispositivi mobile.
I ragazzi non avevano minimamente l'abitudine di utilizzare le tastiere dei pc presenti in classe, e questo più avanti ci ha fatti incappare nel problema dei caratteri accentati, che né noi né gli alunni del liceo sapevamo trovare nelle tastiere francesi. Ciò che mi lasciava stranito era come tutti i ragazzi avessero uno smartphone con tastiera touch ma non sapessero quasi scrivere, e non avessero nessuna manualità, con una tastiera fisica. Considerare una l'evoluzione dell'altra mi era sempre sembrato talmente scontato da non poter essere messo in dubbio. In queste prime fasi continuavo perciò a ripetermi che era come se si fosse saltato un tassello nell'evoluzione (almeno per quanto riguardava hardware e consuetudini di utilizzo) della faccenda internet, non accorgendomi però che la ragione di tale salto non era legata solo a fattori temporali o tecnici, come nel caso del fax, ma anche dettata dalle possibilità economiche.
Dopo tutti i preparativi era, per davvero, giunto il momento della prima lezione. Nel frenetico riordinare i pensieri e i materiali, dovuto al già citato cambiamento di rotta che il progetto aveva subito, una costante era rimasta: le lezioni frontali non ci piacevano.
Ricordo molto bene i preparativi pratici per il primo incontro con i ragazzi: cercavamo in tutti i modi di remixare al meglio il nostro equipaggiamento (mentale e tecnologico) assieme a quello del liceo. Anche la disposizione dei banchi ci sembrava un elemento da tenere in considerazione: la classe di informatica infatti era organizzata a file di due, ciascuna postazione con n. 2 computer e n. ose sedie per ovviare alla differenza tra il numero di macchine e alunni.
Il fēng shuǐ dell'aula non era in linea con la nostra idea: sia per i contenuti da trasmettere, sia per le attività che che ci immaginavamo con gli studenti. Abbiamo quindi ribaltato la stanza, creando un'isola al centro attorno alla quale i ragazzi si sarebbero seduti, oppure anche no. Sul momento ci è sembrata una gran cosa anche usare uno dei nostri proiettori portatili per creare una specie di collegamento ipertestuale da tavolo.
Questo è stato faticosamente fissato a uno dei travetti di metallo che attraversavano la stanza, puntando verso i tavoli che avevamo foderato con grandi fogli di carta e fornito di numerosi pennarelli colorati. Il gioco era semplice: i tavoli al centro permettevano a tutti di scrivere e contribuire, mentre il proiettore era un modo per proporre contenuti multimediali e coprire eventuali nostre mancanze in fatto di oratoria. La prima lezione era volta a rompere il ghiaccio: più coinvolgimento avrebbe significato più materiale da cui partire per avviare un percorso.
La nostra previsione era quella di un gigantesco brainstorming e ci sembrava la strada più percorribile per avere feedback veloci dai ragazzi. Il processo è stato molto più faticoso del previsto, vuoi per la lingua, vuoi per le aspettative che ci portavamo da casa. Cercavamo di capire cosa pensava un senegalese di internet, cosa se ne faceva, come vi accedeva, dove si faceva dirigere, quali erano le sue abitudini, quali derivate dalla scuola e quali no. Per compiere un'indagine di questo tipo abbiamo dovuto metterci in gioco in prima persona, fornendo alcuni spunti di discussione. Questi non potevano che passare per esempi del nostro utilizzo di internet, che non sempre avevano un effettivo riscontro sull'esperienza dei ragazzi.
Inizialmente gran parte dei componenti di un * salta era riluttante a proporre lezioni frontali con lo scopo di insegnare basi di linguaggio per pagine web, anche perché buona parte dei componenti, tra cui me, non aveva un ventaglio di competenze tali da insegnare quanto appena descritto. Come però più volte emerso nel corso di questo testo un * salta è una creatura in divenire, capace anche di imparare insegnando.
Ecco che allora queste lezioni sono state prese e organizzate come
frontali,
ideando un programma e sviluppandolo giorno per giorno. Il macro argomento da trattare era
"come si
crea un sito web?": l'insegnamento di un tale argomento avrebbe potuto perdersi nel
teorico e
non far mai arrivare i ragazzi a un anche minimo risultato. Quindi si è deciso per un
approccio
pratico con obiettivo una pagina di presentazione personale scritta in HTML, nel modo più
semplice
possibile.
Il tutto tenendo conto di quello che ogni lezione faceva emergere, cercando
sempre di
amalgamare discussioni astratte che nascondevano quell'intento indagativo volto a capirci
noi qualcosa
della situazione internet tra i nostri studenti.
L'idea del vocabolario djola/francese è nata così… in
uno di quei
pomeriggi passati al campement a mettere su una lezione che potesse far imparare qualcosa
soprattutto a noi
che ci eravamo trovati/posti come
insegnanti.
Uno di quei
pomeriggi "lungo la strada" (cioè sul campo, dentro l'azione!) ci si
domandava che
cosa di peculiare risultasse dalla nostra analisi?
Un'analisi ancora in corso
sull'accoglienza e le abitudini dei ragazzi con cui ormai cominciavamo ad aver intrecciato un
rapporto.
E cosa di più spettacolare poteva attirare la nostra attenzione se non la strabiliantemente enorme famiglia delle lingue djola?
La cosa che avverti quasi subito anche a Coubano è quella caratteristica di alcune famiglie linguistiche che in determinate condizioni le porta e configurarsi come dialect continuum, te ne accorgi, per dirlo in maniera semplicistica, perché se chiedi di tradurre una parola due volte può essere che tu ottenga due risultati leggermente differenti. E in molti casi non c'è neanche da chiedere: la lingua, o anzi, il continuo giostrarsi fra più lingue è la peculiarità che ti investe prima di tutte le altre in Senegal. è una cosa che non puoi fare a meno di notare e che i senegalesi evidentemente non vogliono passi in secondo piano.
Ho avuto discorsi, vuoi anche per la mia completa ignoranza in fatto di francese, costituiti fondamentalmente solo su traduzioni: dall'inglese al francese, da una lingua all'altra, da quello che riuscivo a capire alle tre versioni che un senegalese poteva riportarmi. Da tutto ciò l'esigenza di un riscontro utilizzando un mezzo ad-hoc: un vocabolario può coinvolgerti nella sua realizzazione?
L'idea è stata quella di sviluppare un bot di Telegram che salvasse certi tipi di messaggio in un foglio di calcolo. In questo modo si poteva sfruttare parallelamente l'esuberante abitudine (consuetudine forse rende meglio) dei ragazzi senegalesi di tradurre qualsiasi cosa, insieme all'utilizzo principale che fanno dello smartphone: le chat. Il bot funzionava con questa sintassi:
/web <parola o frase in djola> : <parola o frase tradotta>
ai nostri studenti bastava inviare in chat questo "codice" per vedere la propria traduzione apparire sulla proiezione alla lavagna e anche se inizialmente è stata una metodologia decisamente complessa da spiegare una volta che la macchina è partita abbiamo visto scatenarsi un turbinio di traduzioni. Ci bastava triggerare la classe con una parola che subito si apriva la strada per tutti i vocaboli o i modi di dire traducibili che i ragazzi avevano in mente. La cosa davvero divertente erano le discussioni che imperversavano nei banchi da due o tre ragazzi sul giusto modo di scrivere una parola piuttosto che un'altra.
Questa idea del vocabolario è nata non solo per una constatazione pratica della natura variegata del Senegal in termine di dialetti ed etnie, il linguaggio della propria tribù è riscatto individuale e identitario. Ma non solo questo, nell'avvenimento presente, diventava il mezzo più diretto di comunicazione tra loro e noi. In un certo senso nasceva dall'esigenza di tutti di comprendersi: la sola che parlava francese era Sofia e noi tutti volevamo avere il mezzo per comunicare. Anche se la traduzione avveniva dal francese al Djola sicuramente è più facile interfacciarsi con una parola singola o espressione breve piuttosto che con un discorso intero; e cosa fai quando non conosci una parola: vai a consultare un vocabolario.
i ragazzi del liceo non avevano bene in chiaro il concetto di codice e programmazione. Mi viene da dirlo perché abbiamo fatto molta più fatica di quanto credessimo all'inizio sia per spiegare le super basi dell'HTML come ci avevano chiesto, sia soprattutto per ingranare con l'utilizzo della chat di Telegram. Il bot aveva una singola funzione: prendere una parola in djola e la sua traduzione in francese. Per attivarlo era sufficiente un semplice comando: che era corto, era riconoscibile, era facile e accessibile a tutti e aveva una sintassi a nostro avviso super chiara e lineare. Oi - fino alla sera della performance e finanche quando poi siamo tornati non c'è stato verso: ancora qualcuno scriveva solo le traduzioni, qualcuno solo il comando per attivare il bot, qualcuno cose che purtroppo noi non capivamo, e così via. Per loro è stato meno scontato di quanto credessimo entrare in affinità con questa interfaccia. Forse è l'impostazione del comando e dell'imperativo che non è nelle loro corde? O forse l'impostazione così astratta di una macchina che noi giovani tecnologici abbiamo imparato a vedere come programmabile in continua trasformazione e che per loro invece è ancora qualcosa di monolitico e oscuro. Niente più di un default immutabile, qualcosa da prendere e accettare e accogliere come viene.
Guardando alle nostre proposte pratiche alla classe[dp][dq][dr] questa rimane secondo me la più riuscita: probabilmente il connubio di diversi aspetti a loro familiari, le loro lingue in primis, ma anche l'utilizzare una piattaforma a loro conosciuta, ha portato i ragazzi a mettersi in gioco superando quel più volte accennato spettro di organizzazione umanitaria venuta lì a insegnare dall'alto.
Il risultato finale è stato una performance collettiva incentrata sulla stratificazione linguistica in Senegal, dove le persone in alcune zone parlano un minimo di tre lingue.
La lingua ufficiale è il francese coloniale e viene usata per tutte le
comunicazioni importanti, sebbene non tutta la popolazione senegalese se la mastichi. Subito
dopo il
francese si trova il wolof, appartenente all'omonimo popolo ma diffuso a tal punto da
essere compreso
e parlato anche da altre etnie. Infatti il Paese raggruppa numerosi popoli, ognuno con le proprie tradizioni e il proprio idioma. In
Casamance,
dove siamo stati noi, la popolazione è composta principalmente da djola
e
molti, oltre a parlare il djola, conoscono sia
il
francese che il wolof. Il primo si impara a casa, il secondo si studia a
scuola, il
terzo si assorbe dai media.
La nostra performance ha preso atto di questa coesistenza pacifica fra le
varie
culture e differenze linguistiche, tentando di proporre una riflessione su come essa possa
manifestarsi
anche attraverso la rete, che invece è fortemente centralizzata nelle mani di poche
aziende
occidentali.
è partito tutto da un bot di Telegram programmato per realizzare un
dizionario djola
> francese (locale vs coloniale) crowd-sourced collegato ad una chat di gruppo che include
studenti,
professori e noi, con lo scopo di rompere il ghiaccio in occasione del primo incontro. Durante
le tre
settimane successive l'idea si è evoluta, abbiamo scritto delle brevi frasi in
francese ed esortato anche l* student* a farlo, degli haiku intimi,
ironici, speranzosi, teorici, della nostra esperienza,
della loro, dei sogni e delle ambizioni o delle
idee che
avevano ed
è stato preparato un sito con un funzionamento molto simile ad una chat.
les morts ne sont pas mort mais ils dorment
travailler c'est toujours travailler ensemble
comme manger avec le meme plat
on se salit les mains avec du bonheur
voyager rend heureux
voyager vous rend gros aussi
Je saute et je tombe dans le feu forcé je ferai un autre saut
internet: pour apprendre , pour decouvrir , pour rester proche
Le grand but de l'éducation n'est pas le savoir mais l'action
on sennuie des grandes villes
conduire un velo me semble plus jouyeux que de conduire une voiture
ce n'est pas toujours a dakar qu'on peut trouver le bonheur
Je veux reussir dans ma vie
l'agriculture pour grandir comme un fromager et tenace comme le riz
je cultiverai des cacahuetes
Hop ses légumes sont pourris
dans un village planetaire
Je suis fier d'etre villageois
Je me suis réveillée à l'accompagne d'un lion à mes côtés
le monde entier n'est pas plus loin que coubanao
linternet est le bissap du peuple
Ôh cet arbre me regarde
quelle forme a l'internet ?
quelle couleur a l'internet?
quel est son poids et son gout?
d'ou vient la connection?
selfie voyage a travers l'ocean
C'est possible que je crée mes applications
Jou
la poussière n'est pas bonne pour l'internet
il ne fonctionne qu'avec le souffleur
le manque de connexion a le goût de l'oignon
75 Mo pas vraiment tous les jours
au cas ou
J'ai vue un rat creuser
je suis une personne pas une personne
porter un rèseau sans sentir le poids
danser avec les invités pour défier les discussions d'internet
j'aime bouger mais pas dancer
j'aime danser mais pas bouger
Je danse plus vite que la musique
j'aime fair sortir mes dent mais pas rire
dans un monde de masques
j'aime fair des grimage
👺👹👺👹👺👹👺👹👺
J'aime Les masques qui font peur comme essamaye
J'ai peur quand il y'a fambondi
Le lundi passé, les élèves étaient en grève
Je suis vilain comme un singe🙊🙉
Ça c'est peur
je veux obtenir ce que je veux mais je ne veux pas travailler
Le travail m'aimes et je l'aime pas
J'aime Les études,mais je fui Les Cours
quelle forme a coubanao?
Coubanao est dure
Aujourd'hui je ne laverai pas parce que j'ai froid
dormir sur la neige est mieux que de dormir dans ma chambre
Ma mère est partie au marché
si le vocabulaire est en ligne, tout le monde peut le cultiver
Un simple merci du fond du cœur !💞😍😻
La performance finale /web dji safoul : hello world è consistita nel proiettare sull'acquedotto del villaggio le frasi preparate in precedenza, una alla volta. I partecipanti si potevano collegare al sito, dove si leggeva la frase proiettata in quel momento, e inviare la traduzione in djola o in qualsiasi altra lingua. Il messaggio inviato dal sito appariva subito proiettato anch'esso sull'acquedotto. Tutte le traduzioni si accumulavano nello spazio della proiezione, una in seguito all'altra. La cosa sorprendente è che in djola era tutto un fiorire di espressioni diverse e parole ogni volta nuove. Per noi che parliamo lingue indoeuropee, sembrava impossibile costruire gli enunciati in maniera creativa,[14] considerando la brevità delle frasi da tradurre. Il djola infatti ha una tradizione principalmente orale che gli conferisce una bellissima fluidità a cui noi non siamo abituati. Per alcuni era addirittura la prima volta che provavano a scrivere nella propria lingua, situazione che ha portato ad un fitto scambio fra i ragazzi, i quali si confrontavano sulla grammatica, su come costruire la frase o anche su come interpretarla per fare in modo che avesse lo stesso significato dell'originale. Questa novità e questa spinta a riflettere sulla loro cultura sono state inserite in un contesto a loro ben noto, ovvero quello della chat, ma con delle modalità e dei contenuti completamente diversi dal solito. Prima di tutto perché utilizzata collettivamente e in compagnia, nello stesso luogo e nello stesso tempo, non solo unendo persone distanti, ma rafforzando i legami di quelle vicine. Poi perché internet non era più un ambiente costruito per soddisfare le esigenze delle grandi corporazioni, ma uno spazio costruito per la comunità, strettamente legato alla sua cultura e al posto in cui stava venendo utilizzato. Internet come spazio di riflessione comune per la valorizzazione e l'evoluzione delle proprie tradizioni. Anche l'utilizzo della proiezione ha favorito il sovrapporsi di un ambiente virtuale e uno reale, creando un nuovo spazio che manteneva le caratteristiche sia del primo che del secondo.
La struttura di una lingua dice molto sul popolo che la parla, se la loro è così libera, diluita in base a ciascuna persona, perché non esiste anche una dimensione virtuale che abbia la sagoma del popolo Djola? Perché si devono adeguare alle forme di internet già esistenti e non creare un internet dalla forma adatta a loro?
Allo stesso tempo la situazione conservava l'aspetto della
globalità
tipico del web, in quanto chiunque avesse saputo l'indirizzo del sito avrebbe potuto
accedervi e partecipare alla performance
inviando la sua
traduzione, in qualsiasi parte del mondo si trovasse.
I momenti dei ricordi non me li vivo in un modo lineare ma se li visualizzo sembrano dei semini a caso messi in un vaso. A volte crescono e a volte no, a volte diventano dei fusti forti da cui si possono fare talee e a volte fanno un fiore e poi si annichiliscono. Qualche volta i ricordi tornano senza che lo voglia: quello più gettonato è un ricordo muto, dove con il mio amico Roberto, di notte in una desolata Pavia, scoppiamo a ridere come non mai tanto da letteralmente rotolare per terra dalle risate con lacrime e dolore addominale; non ricordo assolutamente il discorso/battuta che ci ha portato a quell'evento, ma è vivido. Vivido è anche il ricordo della mia prima pizza, ero sul seggiolone e me l'ero mangiata tutta: avevo tre anni. Vivido è il ricordo del sito di Geronimo Stilton su cui passavo tanto tempo da bambino a trovare una "password segreta" per accedere a contenuti speciali (mai trovata).
Quando mi capita di ripensare alla performance penso al momento di estrema lucidità quando ero lontano da tutti per settare la macchina fotografica di Sofia. 10s di esposizione che avrebbero intrappolato anche le onde delle stelle, 10s che avrebbero mostrato gli entusiasti partecipanti come fantasmini che fluttuavano davanti all'acquedotto. Era una visione che aspettavo di percepire da due anni, due anni dopo la scoperta di quell'epifanico murales che ha scatenato tutto. L'icona del laptop era compressa in quel momento: to learn, to discover, to be closer: qualcuno stava imparando qualcosa, qualcuno stava scoprendo nuovi strumenti, tutti erano vicini sia nel regno animale sia nel regno digitale. Il villaggio di Coubanao era, in quel momento, un nucleo di scambio: una superstrada dove nello stesso tempo potevano coabitare complessità e località.
Torno tra la folla che non aveva perso interesse per le traduzioni. C'erano più gradini, dallo scambio di traduzioni nella rete scendevi di uno scalino e c'era la discussione IRL data la poca pragmaticità grammaticale e logica scritta delle lingue tribali, scendevi e c'erano gli haiku, scendevi di nuovo e trovavi le differenti meraviglie vissute da ognuno: la pesante formalità imposta ai ragazzi in classe era annullata, anche il rapporto con il censore era disteso.
Avevamo condiviso non poco in quelle lezioni a scuola:
Questi momenti oscillavano come un metronomo e il momento di mezzo
l'abbiamo
raccontato tramite delle piccole frasette.
E così abbiamo proposto anche alle ragazze e ragazzi di scrivere le loro
impressioni sulla avventura vissuta assieme,
ma non solo -
anche sulle loro prospettive online e offline e i contenuti della performance sono venuti a
galla
naturalmente.
E così gli haiku nati a Coubanao viaggiavano come pacchettini regalo per
tutti i
cavi sottomarini, arrivavano magari a Sesto San Giovanni e qualche amica traduceva nella sua lingua preferita le parole create
in Senegal,
il tutto proiettato sulla torre dell'acqua.
Che spasso raga. Avevo parlato anche di Marx e religioni con Fatumata.
Vorrei partire identificando un * salta nella figura del liutaio, ovvero chi crea uno strumento. A chi crea uno strumento interessa sì suonarlo, ma anche farlo usare agli altri. Lo trovo un gesto di empatia: una speciale interfaccia tra me e un'altra persona. Uno strumento è un linguaggio in comune, una cosa intersezionale, e in questo senso permette la comunicazione su un livello che è diverso dalla lingua o dalla nazionalità. Suonare è un linguaggio in comune: uno scambio di punti di vista attorno a un perno condiviso. Uno strumento è un'interfaccia e in quanto tale cerca di aggrapparsi (oppure a sua volta fa da appiglio) a caratteristiche che le persone o le cose hanno in comune. Questo è uno degli aspetti che caratterizza il percorso che stiamo seguendo con un * salta. Abitando il panorama tecnologico cerchiamo di rimodellarlo creando nuovi strumenti, che sono alla fine nuovi modi di percepire e trasformare la realtà. C'è poi un'intima gioia nei risultati inaspettati: una passione per l'arte e il design generativi e parametrici che con il tempo sta maturando verso un tipo diverso di imprevedibilità, che è quello della relazione. E la relazione è sempre per me da intendersi come mediata da un certo tipo di tecnologia o codice o registro (che sia la confusione di un bot di Telegram o la formalità di una sala di teatro poco cambia credo) quindi andando a pensare dei diversi modi di relazione che siano di natura tecnologica o performativa o qualsiasi altra cosa, andiamo sì a direzionare e scatenare delle cose, ma sempre condite di quell'instabilità che da un momento all'altro se ne esce con perle incredibili o rischia di esplodere o semplicemente non è come te la eri immaginata all'inizio.
Adesso due episodi capitati a Koubanao: il primo riflette l'idea di strumento come interfaccia e quindi linguaggio in comune; il secondo parla di questa meraviglia ed è per me il segno che la nostra performance finale abbia funzionato almeno un po'.
Il primo episodio si colloca nei giorni finali dei laboratori, quando ormai la maggior parte degli studenti aveva la propria landing page da battaglia e più o meno tutti erano riusciti ad accedere ed usare il bot del dizionario. Sia con il bot sia con il prototipo del sito della performance hanno iniziato a usare le meccaniche del gioco per scrivere frasi su di noi. Non più parole comuni o termini colloquiali per il vocabolario, ma frasi rivolte proprio proprio a noi. Come un modo per riconoscersi all'interno di questo nuovo discorso collettivo, come se l'algoritmo fosse una scatola perfettamente trasparente attraverso cui ci vedevano. Questa cosa mi ha colpito e mi ha fatto percepire come lo strumento che avevamo preparato fosse un ponte tra noi due stranieri estranei che si volevano incontrare, portando ognuno le proprie forme e modalità all'altro.
Il secondo episodio è stato durante la performance finale, ai piedi dell'acquedotto. Una specie di testamento manifesto o capsula del tempo o anzi una capsula culturale che anziché nel futuro spediva i messaggi attraverso le barriere linguistiche. La stratificazione linguistica di quella zona è davvero notevole e tutti avevano qualcosa da scoprire, persino gli adulti. Penso che uno dei momenti più belli di tutto il viaggio sia stato vedere le censeur (vicepreside) del liceo seduto in mezzo ai ragazzi estasiato nell'aver imparato o finalmente intuito una parola djola per poi vederla moltiplicarsi in wolof, inglese, italiano, tedesco, bergamasco ecc. La sua gioia era la nostra perché quello strano sistema di computer siti e proiettori funzionava non solo nel lato della macchina, ma anche in quello delle persone. Attivava delle discussioni e dei confronti. Permetteva una partecipazione strana e orizzontale rispetto alla formalità dell'ambiente scolastico. Metteva in discussione la natura di certi modi di dire, la loro trascrizione e il loro significato letterale o simbolico. In qualche modo creava delle storie di cui poteva godere anche chi era più restio al prendervi parte e se ne stava seduto in fondo.
Come sempre fare le cose è importantissimo. Sono dei momenti di verifica preziosi in cui cento cose che si scoprono non funzionare insegnano tanto quanto quelle che hai imparato nei mesi di preparazione. Ed è per questo che nonostante tutte le criticità questo viaggio è stato un gran successo.
Audio Performance
Anche una componente sonora è stata pensata per /web dij safoul : hello world, una collaborazione su più livelli tra i due "addetti al sonoro" del collettivo: Tiziano e me (uso le virgolette perché anche altri componenti del gruppo hanno grandi abilità musicali, ma semplicemente in questo contesto hanno scelto di concentrarsi su altri aspetti).
L'idea alla base era quella di un ascolto decentralizzato che potesse fare uso dei mezzi a disposizione nel villaggio: i già più volte accennati smartphone, diffusi e popolari tra i nostri studenti, e, per la prima volta nella mia esperienza, di una trasmissione radio in diretta. Quello che cercavamo di ottenere era quindi un array di speaker, o se volete degli ascolti "intimi", che permettessero la spazializzazione nell'area d'interesse della performance di un'unica sorgente: la trasmissione radio della stazione del Kdes, Kalounayes FM93.2.
Durante tutta la nostra permanenza, attraverso un piccolo microfono Zoom, varie riprese audio sono state realizzate cercando di cogliere aspetti interessanti di ciò che ci accadeva intorno. Queste hanno portato alla raccolta di materiale molto diverso.
Per preparare la performance abbiamo seguito un approccio ibrido: una composizione su fixed media[15] è stata da me realizzata a partire da quei field recordings, e un'improvvisazione live è stata eseguita durante la performance:
Il materiale preparato era composto principalmente da registrazioni di giochi di gruppo che le bambine e i bambini ci regalavano durante i pomeriggi al campement e che definire Musicali non mi pare fuori luogo. In particolare un gioco che assomigliava al nostro "battimani" mi aveva molto incuriosito. Esso differiva dalle nostre versioni, o almeno da quelle che mi è sempre capitato di vedere o giocare, soprattutto perché si giocava in maniera da tenere il ritmo con mani, piedi e parole. Era poi caratterizzato da una turnazione decisa in base a chi sbagliava la scansione ritmica di questi tre elementi, che veniva appunto rimandat* "alla fine della fila". Da queste registrazioni, e dal ritmo ipnotico di questo gioco, ho costruito un breve brano dal sapore "dance" ma comunque poco collocabile nella concezione di genere che ci portavamo da casa.
Accennavo all'approccio ibrido perché la durata di questo brano (4:54) non era di certo sufficiente a coprire quella della performance. Ecco che ci siamo quindi attrezzati, aiutati anche dal responsabile della radio del Kdes, per trasmettere in diretta una performance nella performance, eseguita live. Essa era costruita sul classico metodo caratteristico di Cloudwatchers, progetto di musica ambient improvvisata di cui io e Tiziano siamo membri fondatori.
Le già citate registrazioni ambientali, anche in questo caso di giochi di gruppo dei bambini, venivano "stretchate" algoritmicamente ("spalmate temporalmente" con pitch inalterato) rendendole più simili a dei droni dall'evoluzione lentissima. Questo per creare un tappeto su cui Tiziano improvvisava liberamente, utilizzando lo strumento costruito per lui dal falegname del villaggio. Dialogando quindi con i suoni trattati ed esplorando le caratteristiche dello strumento da poco in suo possesso. (vedi foto)
Come usuale nella nostra collaborazione un processo di feedback veniva messo in atto: il suono dello strumento artigianale veniva catturato da un microfono a contatto e trattato a sua volta in maniera algoritmica per essere poi mixato e trasmesso attraverso le polverose (ma incredibilmente collaudate) attrezzature della stazione radio di Coubanao.
L'idea della radio è sorta principalmente per la scarsità di mb a disposizione dei nostri studenti, e/o del nostro router, dedicato a garantire il funzionamento delle altre componenti della performance. Sarebbe stata quindi impensabile una trasmissione in streaming online anche del materiale audio.
Se la nostra idea nella teoria trovava grande riscontro, e anche un qual certo sapore "sperimentale" dato dall'utilizzo di una tecnologia vetusta come quella della radio FM in un contesto del genere, la pratica si è come sempre dovuta scontrare con la realtà. Innanzitutto non tutti i telefoni sono dotati di ricevitore FM, paradossalmente più un telefono è moderno minore è la possibilità che questa tecnologia vi sia nativa, insieme poi al discorso sulla fascia di prezzo. Questo aspetto tagliava fuori una buona percentuale degli studenti dall'ascolto decentralizzato.
Per sopperire a questa mancanza ci siamo ingegnati usando il "monitor" della cabina di regia da cui veniva trasmessa radio Kalounayes, vale a dire un grosso stereo collegato a un'ausiliaria del mixer, cercando di posizionarlo direzionato il più possibile verso l'area della performance.
C'è poi da riscontrare anche una certa differenza di concezione, inevitabile e forse scontata, nel percepire la musica. Ricordo perfettamente la quasi totale refrattarietà dei nostri studenti al materiale proposto, culminata nella domanda di alcuni (l'incubo di ogni musicista sperimentale): "Ma quando comincia?"
è chiaro che l'azzardo della nostra proposta andava a scontrarsi fortemente con una concezione molto diversa del fenomeno musicale. Non peggiore né migliore, ma differente, emersa in maniera decisa nei nostri ascoltatori/partecipanti alla performance. Durante la nostra permanenza la musica ascoltata si poteva, secondo me, classificare in due tipi principali, che ora definirò con canoni occidentali:
In un panorama di questo genere poco spazio viene lasciato a ogni elemento altro rispetto a quelli precedentemente accennati, il che è stato decisivo per la ricezione da parte dei ragazzi di quello che veniva trasmesso.
Sarei decisamente curioso di conoscere l'eventuale reazione di un ascoltatore di radio Kalounayes durante la performance, ascoltatore che, nonostante gli avvisi dello speaker, fosse totalmente all'oscuro della nostra operazione…
Senza aggiungere troppo a quello che già è stato esaustivamente detto da Alessandro, mi limito a fare una chiosa su quello che per noi è stato il principio necessario di attuazione della performance sonora: la contestualizzazione.
Mi spiego meglio, seppur i presupposti musicali e di risultato fossero ben lontani dal contesto geografico e musicale del luogo, in realtà quello che volevamo far "suonare" era proprio il luogo, il contesto.
Questa cosa si riscontra su più piani nella costruzione del canovaccio di base partendo dal field recording di situazioni giornaliere e uniche: il gioco ritmico delle bambine, il vociare delle persone. Ma anche nell'esecuzione finale: la scelta obbligata della riproduzione attraverso l'emittente radio, l'utilizzo dello strumento costruito dal falegname del villaggio. Tutti elementi che hanno contribuito ad un risultato unico e irripetibile se non da una presenza fisica e nemmeno virtuale a Coubanao.
L'esempio più calzante forse è proprio lo strumento costruito dal falegname.
Faccio un passo indietro, nella preparazione del viaggio da studente di musica che ero, mi sentivo privilegiato e impaziente di arrivare in Africa e godere della musica africana dei tamburi dei canti delle Kore cristalline. Purtroppo l'Africa è grande e la regione in cui siamo stati, e ancor più Coubanao, non era particolarmente conosciuta per avere dei musicisti e nemmeno dei liutai specializzati. Ne consegue che quando sono arrivato dal falegname del villaggio – uomo muscoloso color ebano seduto su una piramide di trucioli con un tronco in una mano e un machete nell'altra con tutti i numerosi figli intorno che lo guardavano lavorare – non sapevo bene cosa chiedere. Lui mi ha tranquillizzato, abbiamo disegnato sulla sabbia la forma che volevo e il prodotto è stato fatto senza tanti problemi: pelle di capra, guscio secco di cocco enorme, paletta di legno e due corde di nylon.
Il falegname non aveva mai fatto uno strumento prima d'ora, questo è stato necessario e elemento di irripetibilità cercato.
Probabilmente se fossi andato nel villaggio di fianco ci sarebbe stato un altro falegname esperto in produzione di Kore, ma noi siamo a Coubanao e vogliamo far suonare Coubanao.
Lo strumento del falegname, il falegname, la capra morta per quello strumento sono gli elementi di contestualizzazione così come le bambine che giocano a battimani e il loro vociare.
La mia improvvisazione con il liuto a manico lungo, che su base tecnica era circoscritta a trarre qualche idea sonora dalle due corde attraverso slide, effetti e accenni relativi di note, relativi perché lo strumento non teneva l'accordatura, assieme al rimaneggiare di Gambas con Max/msp e Pure Data, diventa il coperchio finale per impacchettare quella che è stata l'audio performance in quel momento, a quella latitudine e longitudine, con un * salta e gli abitanti di Coubanao.
Per portare ora la audio performance alla performance in atto. Alla domanda perché la necessità di un "colonna sonora" ad una performance già di per sé completa? La risposta è presto detta. Una volta identificate le due realtà su cui si muoveva /web dij safoul : hello world:
Abbiamo riscontrato un vuoto, durante la progettazione, volevamo una terza realtà, in un certo senso metafisica, che richiamasse, tipo eco riverberato nella testa, un concentrato del vissuto in quel periodo. Non dovevano comparire esclusivamente, in quanto attori, noi persone e le nostre scritte proiettate, doveva esserci una terza proiezione: quella delle sensazioni, dei refrain.
Il potere della musica sta nella sua capacità selettiva e riassuntiva di rappresentare situazioni volatili e inesplicabili a parole, anche perché, a differenza delle parole, teoricamente non dovrebbe avere bisogno di vocabolario
per essere compresa.
Detto ciò quando l'intento è sperimentale, come lo è stato il nostro, più che in termini puramente musicali si ragiona attraverso concetti. Ecco perché la scelta di creare un brano ripetitivo e insistente su pochi elementi, di nuovo: il gioco delle bambine, il vociare delle persone, la scelta ritmica che potrebbe richiamare i bonghi sentiti nella festa delle maschere, il suono del liuto allungato creato dal falegname. Tutti elementi volti alla creazione di refrain, echi nella testa, che seppur non comprensibili in quanto produzione musicale, ma partecipanti a creare quel mondo parallelo delle sensazioni, la terza realtà della performance; l'ingrediente che fa si che quando ripenso a quei momenti sento quei suoni che aprono porte a pozzi di ricordi e rendono tutto il viaggio in Senegal partecipe nel momento della Performance a Coubanao.
alessandra
I morti non sono morti ma stanno dormendo
kamo
i morch ai dorma
Malang Gningue
Si motwéss si létoute baré soka môri
Mouhamadou Lamine Badiane
Les morts ne sont pas mort ils dorment.
I morti non sono morti ma dormono
ousmane badji
ka ketoum kou ketoute bare
kamo
lavorare è sempre lavorare assieme
Arbeiten ist immer Zusammenarbeiten
ousmane badji
ka ketoum kou ketoute bare ko kamore
ada
Bonjour
null
Ciao
Edmisio Ernesto Gomis
Ka kétoum kou kétoute baré KO kamore
Come mangiare nello stesso piatto
ada
Come mangiare nello stesso piatto
Malang Gningue
Nî dî lék ak bén togou beus bou nék
Federico
Compartilhar comida
Mouhamadou Lamine Badiane
Kadiabouroung kané Kane ka soumeuke
Bébé chou
Tôbiass maa gnaa kou souma
fatoumata sane
Qua moquène ou gnène di cayraille
Malang Gningue
Nî dî lék ak bén togou beus bou nék
Mouhamadou Lamine Badiane
Reisen macht glücklich
ousmane badji
kadiabouroug kou kanékane kasoumeuk
Bébé chou
Tôbiass ma toum à bossté
Malang Gningue
Touki dalaye maye yarame
Seynabou Diédhiou
Kadiabouroung kou kané Kane ou keuleu
fulbert Christian diatta
Kadiao koukanékann kalouk
sokhna sane
Touky daytakh gua guandê
Edmisio Ernesto Gomis
Kadiabouroung kou kanékane kassoumeuk
Mouhamadou Lamine Badiane
Reisen macht auch dick
fatoumata sane
Kadiabroug ka kane kasoumey
seydou
Ni furiaf Di ebook yako unne un
Mouhamadou Lamine Badiane
Touki deye diokhé mekté
null
Baisse karo malileule
Mouhamadou Lamine Badiane
Dameye teube ak danou ci khale bi pala force ak bénéne teube
ousmane badji
kadiabouroug koukanékan moukeuleu fana
Bébé chou
Ann dakh ding kobé ak tchokhé unka boula dakha
Seynabou Diédhiou
Babalé ni lo da samounéss géré é léte pi lane y bal
Malang Gningue
Ma teup ma danou si xal dinano déff ma défate bénéne teup
fulbert Christian diatta
Hi foumé ban li loó li sanbounasou ha ni mit hi foume
khady
Olof
Erica
Salto e cado dentro il fuoco, salterò di nuovo
sokhna sane
Damay teup danou si khal para force damay teubate
Amina BADIANE
Ndié ébaal Ni lo di sambunas féré let pan ni laagn ibaal
Mouhamadou Lamine Badiane
I jump and I fall into the forced fire I will make another jump
khady
Dama teup si taal nekh nakari dama wara teubate
Bébé chou
Bouma teubé maa daanou si khall bii DINA teubabatt
null
Man thiate an yire di bro an kaka thiate
ousmane badji
kamboukané ibaledia milo da samounas pilanibal
fatoumata sane
Ibaledia mi tobodies samouneuse fraye élete bani lagne ibale
Mouhamadou Lamine Badiane
Le grand but de l'éducation n'est pas le savoir mais l'a
fatoumata sane
Mouhamadou Lamine Badiane
The great goal of education is not knowledge but action
Amina BADIANE
Kakaragnak nafaay yooliko let émandiey baré ékaaney
Rachid
Nafay yati kakararang latin emandje bare di ba kanerab
Seydou
Nafaye yamakey uaticacourak
Malang Gningue
Nguërignou diangue bou reuy bi dou xam xam wanté dieufingue bi leu
Mouhamadou Lamine Badiane
Das große Ziel der Erziehung ist nicht Wissen, sondern Handeln
Seynabou Diédhiou
Nakaye yeumeukéye yeti kakaraghank ékanoute émandiéye baré di ba kanérab
khady
Ndiarignou diang dou kha kham banga sii ame wayé limouy deff si ioe
sokhna sane
Nguëriniou diague dou kham kham wayê dieuf dieuf la
null
Ou yék bousouk thikhe pe mé ma athi pe ro
ousmane badji
nafaye yeumeukéye yéti kakaraghank léti émandiey baré ékaney
fulbert Christian diatta
Wahaou oueumeukeuu watta kadian inti kahass mélè kakanakou
fatoumata sane
Qualityquenaque quemequeque di ka karaghak lety di Emandiaye bare di bacanerabe
Bébé chou
O grande objetivo da educação não é conhecimento mas ação
Il grande obiettivo dell'educazione non è il sapere ma l'azione
Mouhamadou Lamine Badiane
We miss the big cities
Amina BADIANE
Sisukes seumeukes si kaané kaan kalabo
Mouhamadou Lamine Badiane
Ci mancano le grandi città
Amina BADIANE
Big cities are annoying
Edmisio Gomis
Man nor di ngue thiak nguék
Malang Gningue
Deuk you mague yi nékhou gnou
khady
Nekk si deuk you reuyi dafmay sonnal
fatoumata sane
Si soukese seumeukese si litenelitenew.
Amina BADIANE
Kateyenak éba
khady
Dawal velo ndirounama lou guene follou ke dawal auto
Mouhamadou Lamine Badiane
andare in bici mi sembra più gioioso che guidare una macchina
null
Ka tèen ebéekann koukoyome li katèenn éoto
ousmane badji
katénak bécanéy kou koyoumame katénak éwotey
null
Internet: per apprendere, per scoprire, per restare vicini
erica
Internet: per imparare, per scoprire, per essere più vicini
Mouhamadou Lamine Badiane
Internet: imparare, scoprire, stare vicino
Seydou
Kateynak ebecaney cadionene eniley
khady
Internet nguir diangue,ak kham,ak diéganto
Edmisio Gomis
Ka teyénak ébékaneye é fan mé canam i contani katéyénak éwautey
fatoumata sane
Kateyenak Kati ebekaney cou coymame ca Kateyenak ewotoye
Seynabou Diédhiou
Internétéye:bé kakarang,bé émandiéye,bé ka lofore
Internet: to learn, to discover, to stay close
Amina BADIANE
Kateyenak kati ébékaaney kufaghé mankusuumé éwoteuy
null
Iinnti Dakar balé louilo oubadial kasoumay
El hadji
Laty Dakar keyo nous diebe badiey kayray
Mouhamadou Lamine Badiane
Dou Beuss bou neke legni guiss mekté Dakar
Non è sempre a dakar che possiamo trovare la felicità
Kamo
non sempre a dakar si trova la fortuna
ousmane badji
égnésey di erousey:mou mandie mou diouke
Seynabou Diédhiou
Léti nanossanne Dakar kou badiéme kaïraye
El hadji
Bee ewagne badianguatab
Mouhamadou Lamine Badiane
Be wagneye ba diaguatabe
sokhna sane
Di na beuy guêrtê
fatoumata sane
Kanout Dakar keb nughoolenė ubaj kayėraay
Seynabou Diédhiou
Pani wagne ba diaghatabe
sokhna sane
Li wagn ba diangatabe
Bébé chou
Vou cultivar amendoins
Coltiverò le noccioline
khady
Dou dakar rekk la banékh rekk
Soumansoum mani Kane gna adiola.0…)
Mouhamadou Lamine Badiane
Mane dama fonke Lima doné kaw kaw
Edmisio Gomis
Pi wagne
sokhna sane
Bégue na di louma nêkké kawkaw
Seynabou Diédhiou
Soumame soume mi kane nia ane éty éssouke
khady
Li ma doon ak campagnard ndam la sii maan
El hadji
Mouhamadou Lamine Badiane
Sono orgoglioso di essere un villaggio
null
Li contané ni can mo asoukeu
Bébé chou
Tenho orgulho de ser uma aldeã
Kamo
Io sono fiero di essere un buzzurro
Kamo
di bergamo
Amina BADIANE
ékine karamba kankaan wasuumeum
Edmisio Gomis
Ni coutani contani mi Kane diam an mandiak
sokhna sane
Dama bégue si louma nékké kawkaw
ousmane badji
soumansoum mikanenia a villageois
ZUMA
Boucané boucanak d Boucané boucanak dji coumangn ediaye Boucané boucanak dji coumang caloulouy
Amina BADIANE
Ekaan ane ati karamba kankaan waf wasuumeum
Edmisio Gomis
<> bobéye é dialo
Amina BADIANE
Ekonectionghey beyma ediaw mulo?
khady
Faan la connexion bi di diougué
kamo
oi
kamo
oi
kamo
oi
Dizionario Crowdsourced Djola ⇆ Francese
Telegram Bot
Descrizione:
Tramite un bot di Telegram e una chat di gruppo abitata da noi, i ragazzi e i professori era possibile compilare un dizionario djola ⇆ francese in forma collettiva e partecipata.
Funzionamento
sintassi
/web parola in djola : traduzione in francese
Stack tecnico
L'API (application programming interface) di Telegram è open, documentata e semplice da implementare. Attraverso di essa si può creare un BOT che è praticamente un utente virtuale, un robot che fa da interfaccia tra le persone reali e degli script o delle funzionalità complesse implementate in forma di chat. L'API è tutta la serie di comandi a cui questo bot ha accesso ed è in grado di capire e usare per ricevere o emettere input dagli utenti o dal mondo esterno. Questi comandi permettono di elaborare informazioni a partire dai messaggi o dalle immagini o audio che gli utenti mandano al bot.
Il nostro bot dizionario ascoltava tutti i messaggi che iniziavano con il comando /web e che seguivano la sintassi precisa → parola djola : traduzione francese. Attivandosi solo con quel comando se ne stava buono e non rompeva o ci spiava e non si intrometteva nei discorsi quando parlavamo di altro. Una volta ricevuto il messaggio rispondeva gentilmente a chi gliel'aveva mandato, lo processava lato server su un piccolo spazio online di Google Apps Script estraendo tutte le info utili di cui per prime la parola e la sua traduzione, per poi andarle a inserire in uno spreadsheet online, accessibile e comodo per organizzare le informazioni.
Il prossimo passo verso cui vorremmo muoverci è quello di affrancarci dai servizi google, che sono super comodi ma diventano sempre più pervasivi e impiccioni. Purtroppo confrontarsi con queste tecnologie è sempre difficile in quanto la loro diffusione e il loro funzionamento è direttamente proporzionale a quanti colpi di stato organizzano in Sud America o quanta Africa sfruttano per costruire i propri processori. Ma ci stiamo lavorando. Per ora siamo un po' della filosofia prima facciamo funzionare le cose? Poi risolviamo i punti deboli tra cui il non farci eventualmente complici de sti criminali bastardi.
/web dij safoul : hello world
Performance di traduzione collettiva, web app + videoproiezioni interattive
Descrizione
In un sito sviluppato apposta per la performance era possibile proporre la propria traduzione di alcune frasi scritte assieme ai ragazzi della scuola. Ecc spiegatela voi non ho voglia
Funzionamento
L'azione è contesa tra due dispositivi: uno è il telefono dei partecipanti, l'altro un acquedotto che si trasforma nello schermo per una proiezione interattiva. Su questo acquedotto venivano proiettati dei messaggi in francese, che era la lingua franca, e ognuno dal telefono poteva inviare e aggiungere alla proiezione la traduzione nella propria lingua.
Stack tecnico
Gli attori di questa performance sono:
Gli smartphone dei partecipanti
Che sono i vari client del sito che abbiamo sviluppato in occasione del lavoro.
Era praticamente una chat, con un pannello che riceveva la frase da tradurre che stavamo proiettando in quel momento. In questo modo anche chi non era a Coubanao poteva partecipare.
Il sito è stato sviluppato con node js e prototipato agile senza nessun framework: html css js lisci e via.
è stato messo online tramite la combo Gitlab Pages + Heroku a gestire la componente server
Il server
Ovvero il computer sparso chissà dove nel cloud che permette la connessione tra i client e quindi tutti i dispositivi connessi al sito.
Dopo qualche esperimento abbiamo scelto Heroku come piattaforma su cui appoggiarci.
Il server si occupava di ricevere i messaggi dal telefono di ciascuno e spedirli agli altri, nonché anche al nostro computer in regia, che agganciato al proiettore illuminava tutto l'acquedotto. La connessione è stata gestita via websocket, che è un protocollo facile da implementare, leggero e reattivo, particolarmente adatto alle applicazioni real time e live. In questo modo un messaggio spedito dalle persone arrivava istantaneamente proiettato sull'acquedotto e questo rafforzava il senso di partecipazione, coinvolgimento ed empowerment.
Il nostro setup di computer e proiettore / regia sotto l'acquedotto
Collegato in linea diretta con il server e di conseguenza anche con i client smartphone connessi. Da qui spedivamo la frase di riferimento pescandola tra la lista cui avevamo lavorato con i ragazzi. Il lato software interattivo / grafico era scritto in vvvv, un linguaggio di programmazione visuale molto comodo → leggero →agile →utile nella prototipazione e performante nello sviluppo. Con questo abbiamo video-mappato l'acquedotto del villaggio e ci abbiamo spalmato sopra le scritte che arrivavano.
Beh se siete arrivati fin qui immaginiamo che il collettivo un * salta vi stia un po' simpatico, o forse che ci odiate a morte… In entrambi i casi (soprattutto il secondo) vi invitiamo al confronto, vi invitiamo alla condivisione, perché il vero punto di questa pubblicazione è il triggering di un processo che abbiamo chiamato collettivo, ma la cui evoluzione è sfuggente. Quello che questa pubblicazione vorrebbe portare alla luce è un metodo di ricerca indipendente slegato dal piano accademico. Un metodo non del tutto qui formalizzato, per una ricerca sociale trasversale che guardi al globo come limite e al web come pandemia positiva. [ds][dt][du][dv][dw][dx][dy]
Durante la lunga stesura di questo testo, iniziata una volta tornati dal Senegal, il mondo ha subito uno sconvolgimento cataclismico Tiziano si è fidanzato[dz][ea][eb][ec] con una ragazza francese che non nomineremo per non appesantire di inutile retorica le ultime pagine del nostro lavoro. Questo stravolgimento però sarà probabilmente visto dagli storici come uno spartiacque fondamentale per l'analisi del fenomeno internet.
A maggior ragione, sono urgenti delle riflessioni sul tema. Spesso non ci rendiamo conto del brodo digitale in cui sguazziamo. Lo sviluppo tecnologico non è un processo reversibile, per questo c'è bisogno di assimilarlo, processarlo e dargli forma. Restando fedeli al nostro italianissimo cuore e al resto della pubblicazione, mi permetto di dire che delegare l'invenzione della ricetta del brodo è una totale forma di disimpegno. un * salta crede che ci siano infinite ricette e vuole provarle tutte, perciò ci auguriamo che in qualsiasi modo abbiate sorseggiato i capitoli, qualcosa sia entrato in circolo. Tirarsi indietro significa ignorare tutte le questioni ambientali, sociali, economiche, politiche ontologicamente diluite in questa rete fisico-virtuale.
Beh io ringrazierei subito Federico Poni che quando vuole è in grado di sfoggiare una grande dote: l'entusiasmo. Senza di quello a Koubanao non ci saremmo mai andati. Anche io ringrazio Federico Poni, un abbraccio ad un amico coraggioso. Poi un grazie di cuore al Comitato Pavia Asti Senegal, che con la sua rete di contatti sul territorio e un molto apprezzato contributo pecuniario ci ha agevolato l'organizzazione e la permanenza.
Barsa Sagna che commenta sotto ogni foto che postiamo; Seydatouna Khadija Badiane Bébé béné tiwoliyo béné; Malamine Diémé uno degli uomini più integri mai conosciuti, nostro saggio protettore, a quel tempo da poco padre di due gemelle;Papaclass l'entrepreneur futuro programmatore di app;Malamine Tamba, che ci ha ospitati per un buonissimo pranzo a casa sua e ci ha guidati a Dakar; Badji Elhadji, il preside silenzioso; Pacolo spadaccino delle ram; tutti gli student che ci scrivono che manchiamo a Koubanao; tutti gli student* con cui non abbiamo scambiato parola e guardavano straniti questi lulum bianchi che arrivavano in cortile mentre loro se ne uscivano; l ragazzino che ci vendeva le cochette nontroppofresche allo shop; Buba, un incredibile soggetto la cui più grande passione era mangiare e fare il vagabondo fra un villaggio e l'altro innamorato di Sofia😠; tutti gli altri amanti di Sofia e di Erica che sognavano un matrimonio a Milano; l'importante tenacia di Lamine nel voler restare a Koubanao a coltivare arachidi; la dottoressa dell'ambulatorio che ci ha regalato una visita quando abbiamo avuto la febbre e che voleva chiamare coi nostri nomi la creatura che portava in grembo;Sada artefice del murales che parlava di internet; chi si è fidato e ci ha finanziato venendo alle cene di raccolta fondi e chi ci ha bastonato quando chiedevamo una revisione dei progetti e facevamo gli ingenui; chi ci ha sostenuto entusiasta in ogni momento; le care cuoche che ci preparavano colazioni - pranzi - cene; le bambine e ini che facevamo girare in aria; i due rapper felici di cantare sulle nostre basi improvvisate; Aliou felice di essere stato fotografato nel suo capannino dove lavora il riso; i nostri autisti Baba e Baba Sane; Aboubakar il guardiano del campement; le sarte che ci hanno confezionato le divise di un * salta; i nostri genitori, perché i genitori vanno sempre ringraziati; Awa la mia collega di LibrOsteria che mi tiene aggiornata sugli avvenimenti in Senegal; LibrOsteria che mi ha fatto guadagnare i soldi per partire e che di sicuro ci ospiterà per presentare questa pubblicazione; Gianni Celati e le sue avventure in Africa; tutto il villaggio di Coubano che si è sempre dimostrato accogliente; i danzatori che si sono esibiti una delle ultime sere; le cuoche del ristorante dove abbiamo pranzato due o tre volte (anche se è capitato che ci facessero pagare di più perché siamo bianchi);
[ed][ee][ef][eg][eh][ei][ej]
Un'ultima componente fondamentale di un salta sono i singolari modi di abitare le realtà che viviamo, come approcciarci a loro e come documentarle. Siamo sei individui con diverse sfumature, diversi backgrounds.
Federico Poni[ek][el]
Pavia, 1996, Brera, poi Rotterdam,
fatto un master, XPUB. Ora non uso più questa piattaforma dove stiamo scrivendo, sono uno
di quei
fissati con l'open source e il free software.
Intanto son diventato un architetto del web e un urbanista del net, un pizzaiolo e un piccione, un mago e un anarchico, un cyborg e una torta alle cipolle caramellate.
Sofia Merelli
Nata
a
Milano,
nel
2020 ha conseguito il diploma accademico di I livello in Nuove Tecnologie dell'Arte
all'Accademia di Belle Arti di Brera e successivamente ha ottenuto l'attestato di
formazione
professionale di filmmaker frequentando il corso di documentario alla Civica Scuola di Cinema
Luchino
Visconti.
La sua ricerca oscilla fra diamine odio far ste cose va be' dai in due parole mi piace l'infrastruttura di internet con tutta la sua ingombrante massa, l'ecology after nature, fare i filmini, la Liguria e i cinesi.
ciao ciaoo
Alessandro Gambato[em]
Mi reputo un compositore
anche
se ho una
formazione prettamente tecnica (per ora), ho l'arroganza di pensare gran parte di quello
che faccio
come un'opera d'arte, che è forse il perché poi non sono bravo a
riconoscerne una.
Ho studiato produzione audio a Milano dove sono venuto a contatto con le altre menti di
Un*salta, continuo a
studiare a Padova e cerco di occuparmi di musica partecipativa e improvvisazione libera.
Tiziano Pastor[en]
Sono nato a Venezia, nel 2021 ho conseguito il diploma
accademico di
I livello in Popular Music al CPM Music Institute di Milano e ora sono intento a frequentare un
master
all'università cornuta in vita all'estero con contratto a tempo
indeterminato.
Per
quel che mi riguarda non penso che tutto ciò che faccio sia un'opera d'arte ma
per una
ragione o per un altra mi ritrovo spesso in situazioni che potremmo chiamare, più che
artistiche,
creative.
La ragione è fastidiosamente legata al mio modo di essere, alla mia incapacità di prestare attenzione alle cose per molto tempo di seguito, all'esigenza di trovare un trigger in qualunque cosa succeda intorno a me sennò non ha senso, se no mi addormento.
Sono capitato nel collettivo un * salta casualmente e, nonostante la mia preparazione inesistente in materia di arte multimediale e cose di Brera, posso dire di avere trovato il mio ruolo e il mio posto, a detta di Kamo, in quanto coscienza del gruppo.
un * salta mi offre la possibilità di non avere regole, di non avere tempistiche di non avere un obiettivo chiaro, è un foglio bianco ed è una vendetta e un riscatto costruttivo, occhio per occhio verso la goduria. Verso questo tipo di situazioni e contesti tende la mia ricerca.
Francesco Luzzana[eo]
Degli amici hanno in casa un elefante di legno grosso come una mucca vera. Io potrei avere un computer di legno grosso come un elefante vero. Mi sembra che tutta la vita mi capiti per caso e io accolgo. Sto imparando ad assumere la forma più aerodinamica possibile per andare di vela con questo vento. Come fanno le barche a vela ad andare dove vogliono?
Erica Gargaglione[ep]
o anche grgr da reggio emilia.
che forma ha internet? che forma ha un
sito?
quali sono i miei punti di contatto con un sito? un sito bello. un sito
brutto. un
sito che tutti odiano e uno che tutti amano. un sito semplice, un sito complicato. Un sito che
è
sempre uguale, un sito che si trasforma. Un sito che porta bene i suoi anni e uno no. Un sito
mai visitato.
Il primo sito tra i preferiti. Il primo nella cronologia. Un sito abitato. Un sito non abitato.
Un sito che
ha anche una app. Una app che funziona online, ma senza avere un sito di riferimento. Un sito
che è
più interessante su mobile che non dal computer. Un sito dinamico e un sito statico. La
lista
continua.
[1] tipica espressione di Favara (AG)
[3] https://louisedrulhe.fr/internet-atlas/
[4] https://en.wikipedia.org/wiki/On_the_Internet,_nobody_knows_you%27re_a_dog
[5] https://atlantic-cable.com/1858NY/
Bill Burns grazie sei un santo uomo
[6] Thorat, 255-256
[7] TeleGeography, Submarine Cable Map (Ultima modifica: 17 Marzo 2020)
https://www2.telegeography.com/submarine-cable-faqs-frequently-asked-questions
[8] Keller Easterling, Extrastatecraft: The power of infrastructure space, Verso
[9] Sarvesh Mathi, "The Future of Undersea Internet Cables. Are Big Tech Companies Forming a Cartel?"
in Medium (Ultimo accesso: 26 marzo 2020)
https://blog.usejournal.com/the-future-of-undersea-internet-cables-f3e5f77de019
[11] Synergy
Research
Group,
"Incremental Growth in Cloud Spending Hits a New High while Amazon and
Microsoft
Maintain a Clear Lead" (Ultimo accesso: 26 marzo 2020)
https://www.srgresearch.com/articles/incremental-growth-cloud-spending-hits-new-high-while-amazon-and-microsoft-maintain-clear-lead-reno-nv-february-4-2020
[12] Con processo intendo le varie dinamiche di comunicazione, da singoli messaggi ad automazioni, nei vari ecosistemi digitali offline e quant'altro
[14] Per intenderci, la frase "travailler c'est toujours travailler ensemble" in italiano non può essere tradotta con troppe acrobazie, la costruzione e i vocaboli rimarranno sempre simili a "lavorare è sempre lavorare assieme"
[15] Fixed media denota musica composta specificatamente per essere riprodotta da una registrazione, originariamente su nastro, oggi file digitale. Si differenzia dalla musica eseguita per la presenza della fissazione su un supporto.
[a]cosa che viene ribadita nel capitolo 3 quindi forse è da ampliare anche solo con un link al progetto di agrigento
[b]si hai ragione potremmo mettere un'appendice in fondo con presentazione collettivo + descrizione degli altri progetti nostri ? (tipo una paginetta un paragrafo ciascuno, roba veloce spam 1 salta)
[c]presentazione collettivo = noi chi siamo
[d]presentazione progetti = passeggiata, hbw
[e]con i punti salienti cui facciamo riferimento qua
[f]ricodo che forse avevano detto che una era musuulmana e una cristiana? sarebbe un dettaglio interessante da aggiungere
[g]qua ci volevo mettere un animale al centro che tiene in equilibrio la pubblicazione ma poi mi sembrava un po' una cazzata non so perché ma la necessità di fare uno schemino era forte
[h]io ci metterei tiziano
[i]poni siamo tutti animali come diceva l'Aristotele
[j]facciamo una foto di gruppo a sto point
[k]INDIGENOUS CMS https://mukurtu.org/
[l]"folksonomy" Thomas Vander Wal
[m]https://archiveofourown.org/
[n]iaqos
[o]https://dynamicland.org/ vs extractivism
[p]https://zachblas.info/works/queer-technologies/
[q]paolo cirio
[r]datification & social good
[s]ben grosser
[t]bridle
[u]-
[v]speculativo tipo scenari ? domande?
[w]git e piattaforme de collaborazione
[x]tesi sofia
[y]riallacciare da fine speculativa del asse X
[z]case studies:
- ad esempio piattaforme per nft (approccio centralizzato ? ) vs plantoids ( approccio decentralizzato ?)
[aa]tecnico: mastodon e federalismo
[ab]youtube peertube
[ac]struttura
[ad]interfaccia e UI
[ae]le interfacce non sono superfici ma hanno una profondità e sono degli effettti
[af]ux
[ag]flusso
[ah]"Non scrivete mai. Rischiate d'essere pubblicati"
[ai]https://digilander.libero.it/biblioego/GillIvain.htm
[aj]sono lì lì per sudo rebootarmi
[ak]ma prima ti guardi tutta la stagione
[al]e poi ti sudo rebooti
[am]risignificare
[an]== wordpress
[ao]inserire nota
[ap]lati di pagina
[aq]ma a manetta per varie cose
[ar]ma non michael
[as]git
[at]p2p
[au]https://blog.jse.li/posts/software/
[av]uber ecc !
[aw]cc/ platform urbanism
[ax]alexa, buddamelo ar culo
[ay]iocose
[az]fiver ecc
[ba]giardina papaa
[bb]riproporre in forma di domanda? è davvero l'alfabetizzazione la risposta? e poi": cosa vuol dire alfabetizzaz?
[bc]migrazione digitale covid
[bd]definiamo alfabetizzazione ?
[be]NON NATURALIZZARE GOOGLE
[bf]populismo digitale
[bg]standard = merda
[bh]soupboat ad esempio
[bi]tesi lever burns
[bj]inquadrare alfabetizzazione
[bk]diversità digitale ++ ?
[bl]loclaità fisica geografica ma crea nove luocalità attorno a delle comunità virtuali?
[bm]collegamento meglio
[bn]garga puoi lavorare a questo pezzo?
[bo]@gargaglione.erica@gmail.com
[bp]dai garga
[bq]paolo cirio
[br]datification & social good
[bs]ben grosser
[bt]bridle
[bu]INDIGENOUS CMS https://mukurtu.org/
[bv]"folksonomy" Thomas Vander Wal
[bw]https://archiveofourown.org/
[bx]iaqos
[by]https://dynamicland.org/ vs extractivism
[bz]https://zachblas.info/works/queer-technologies/
[ca]-
[cb]speculativo tipo scenari ? domande?
[cc]git e piattaforme de collaborazione
[cd]aggiungere referenza
[ce]circostanze..........
[cf]MISTERIOSE
[cg]è corretto scrivere così?
[ch]sud globale è un'alternativa ma anche quello ha le sue problematiche
[ci]ripetizione
[cj]forse non il primo forse non unico ma il concetto ok
[ck]semplifica e o ridurre
[cl]Si ma ora c'è starlink
[cm]Si ma ora c'è starlink
[cn]semplifica e o ridurre
[co]le ho anche svg queste mappe così nel caso possiamo stilizzarle come vogliamo
[cp]nota con consigli di lettura per il linguaggio cibernetico
[cq]florian >
[cr]logica (magari simboli?)
[cs]o magari reference
[ct]prep infografica
[cu]nota con cosa si intende per discorso e differenza con comunicazione, interessante perche anche il resto si basa su sta differenza
[cv]//discussione
[cw]dopo voglio scrivere delle cose a riguardo
[cx]c'è anche il terzo di questi disegnetti
[cy]nota con lo sticker: the cloud doesn't exist it's just some else's computer
[cz]usare termini tecnici tipici italiano
[da]cos'è una pag html
[db]cos è server
[dc]unp
[dd]no da cambiare
[de]tipo ok?
[df]aggiungere che esistono diversi tipi di repository: aperte, chiuse, nascoste, ecc
[dg]inserto grafico?
[dh]forse
[di]SEGNALIBRO con tiziano propic o james bratton
[dj]bridle ft bratton
[dk]nota sul problema della technè
[dl]wtf???? ha ah
[dm]valutare mappa del tavolo / schemino cosmologico / disegnetti della lista
[dn]qui ci starebbe bene anche quella in bw che aveva fatto poni con il tavolino tolla di chocopain
[do]scimmia stesa coi panni
[dp]non abbiamo mai parlato delle altre cose
[dq]foglio gamnbuto
[dr]vero
[ds]pandemia (dal greco antico πάνδημος, pándēmos, "ciò che interessa tutte le persone", "pubblico", "generale") wiki caziatemi se è
[dt]citando un vecchio saggio
[du]alessandro l'intellettuale di sinistra
[dv]plot twist
[dw]questa parte e nuova?
ci sono quando volete per una reunion
[dx]💕 nuova di marzo 2021 ahah
[dy]eheeh
[dz]Capitolo pericolos e fuorviante, nel senso che come idea è interessante. il problema che sarebbe una cosa da pprofondire molto e non so se abbiamo la presenza tale per cavarne fuori qualcosa.
[ea]detto cio poi forse mi sto fasciando la testa, ma la domanda é quindi cosa stiamo dicendo con sto minicapitoletto??
[eb]ma io direi che questo capitolo è finito già così, è solo per dire ciao a tutti gtrazie di aver letto e ricordatevi di non dormire troppo
[ec]ok si
[ed]ampliare ?
[ee]@pastortiziano7@gmail.com questa parte secondo me a te che sei osservatore viene bene!
[ef]Più che dire che mangi pasta al pesto non saprei
[eg]ma no tizi questa è la parte dei ringraziamenti di tutte le persone che hanno dato un contributo, io non c'entro aha
[eh]direi che cosi va bene no?
[ei]magari metterei i nomi di tutti i ragazzi
[ej]sì giusto, dovremmo trovare il modo di recuperarli
[ek]@mr.federicoponi@gmail.com dai scrivi una tua bio con gli studi ecc
[el]Si dai
[em]@alessandro.gambato@saeinstitute.edu su su metti anche due righe riguardo gli studi che hai fatto ecc
[en]@pastortiziano7@gmail.com ti va de mettere anche la tua fromazione de studi ecc?? e scrivere che sei un veenziano doc
[eo]@luzzanafrancesco@gmail.com detto frua metti la dua fantastica brillante bio 1 caro sal
[ep]@gargaglione.erica@gmail.com numero 1 bio ti va di scriverla?
[eq]che forma ha questa cosa nella pubblicazione?
[er]up